SECONDO APPUNTAMENTO DEDICATO ALL’UTILIZZO DELLE TECNICHE IBRIDE, LAYERING E NON SOLO...
Dopo aver affrontato la materia da un punto di vista prettamente tecnico e, se vogliamo, sintetico, in un primo articolo, specificando le tecniche più classiche per creare drum sample e passando in rassegna alcuni tool utili a questo scopo, torniamo ora a parlarne puntando sulle tecniche ibride, che prevedono l’utilizzo di sintetizzatori e materiale audio, processing, layering creativo e qualche spunto su sorgenti originali da registrare, strizzando l’occhio anche ai noti impacts da cinema. Se intendiamo drum synthesis in senso lato, possiamo comprendere in questo insieme una moltitudine di tecniche disparate per la creazione di drum sample e percussioni, che si allontanano e di parecchio in alcuni casi, da inviluppi su sinusoidi e dalla sintesi in generale, anche se i due universi hanno un confine assai labile. Come di consueto, queste tecniche non hanno la pretesa di assurgere a regole, ma vogliono solo essere uno spunto per ulteriorisperimentazioni.
FOLEY SOUNDS E IL MONDO ORGANICO
La creazione di drum samples non è necessariamente legata al mondo dei sintetizzatori. Per citare un esempio, tutti i sample della storica Roland TR-808 sono sintetici, salvo il crash. Questo ci permette di fare alcune considerazioni: per quanto sintetizzare ogni campione possa essere soddisfacente, spesso lo sforzo richiesto è superiore al risultato e altre vie risultano più economiche, specie in termini di tempo; la sintesi ha sempre il suo carattere, digitale o analogica che sia la sorgente, le nostre possibilità saranno in primis limitate dal numero di oscillatori, filtri, sorgenti e destinazioni di modulazione, ma anche nel timbro. I suoni organici sono una valida alternativa, vediamo perché. Anzitutto conviene precisare che quando parliamo di suoni organici, ossia suoni prodotti da comuni oggetti o da qualsiasi cosa sia presente in natura, va da sé, ci avviciniamo al mondo della registrazione. In questo articolo non spiegheremo come registrare un rullante al posto di sintetizzarlo, ma, piuttosto, daremo qualche spunto su come crearne uno utilizzando registrazioni di altre sorgenti. I foley sound (o found sound), sono gli effetti sonori quotidiani che, specie nel cinema, regalano naturalezza e realismo alla scena, come, ad esempio, gusci delle noci di cocco per simulare un cavallo al galoppo, carta stropicciata per simulare il fuoco, ecc. Quella della registrazione dei foley sound è una vera e propria arte, e, di fatto, è una professione, con tanto di studi specializzati. Se poi pensiamo all’industria videoludica, tutto ci sarà ancora più chiaro: i videogiochi, nelle fasi iniziali, non hanno suoni, e tutto ciò che il giocatore sentirà, sarà stato registrato e inserito nel gioco. Per i progetti più grossi esistono addirittura team diversi che si occupano di categorie di suoni specifici, come le armi da fuoco o i mezzi di trasporto. Per quanto riguarda la musica, invece, la tradizione, specie quella accademica del ‘900, si avvale di suoni concreti. Pierre Schaeffer coniò il termine musique concrète nel 1948, per riferirsi alla musica che utilizzava suoni registrati e manipolati come unica sorgente. Senza percorrere la cronistoria della musica sperimentale, facciamo un salto in avanti e vediamo in che modo è possibile implementare i foley sounds nella produzione di musica elettronica, senza dimenticare che, seppure in disparte, ma non troppo, moltissimi artisti ne fanno uso (consigliamo l’ascolto di ISAM di Amon Tobin, album estremamente sperimentale che potrebbe, almeno per chi scrive, rendere molto più chiaro ciò di cui stiamo parlando).
RAW SOURCES, LE SORGENTI
Dobbiamo anzitutto considerare dove registreremo le nostre sorgenti, se in studio, oppure all’esterno
(field recording). Nel secondo caso avremo bisogno di attrezzatura specifica, come registratori portatili,
blimp o protezioni antivento e microfoni a fucile, o shotgun, il cui diagramma supercardioide permette di
isolare in maniera molto efficiente i suoni che provengono dai lati del microfono. Per lo scopo, consigliamo alcuni tool, tra cui lo Zoom H6, registratore portatile con capsula integrata, oppure, per dei preamplificatori di qualità più alta e otto ingressi microfonici, l’F8. Tutto è pronto. Ma cosa registrare? Potremmo provare a pensare ad almeno due fattori che influenzeranno la nostra sorgente: dimensione e presenza di cavità (la prima sarà responsabile del range di frequenze e la presenza di una cavità o di un corpo farà da cassa di risonanza) e materiale (metallo, legno, plastica, ecc.). Oppure potremmo registrare suoni d’ambiente all’esterno: è ormai tecnica consolidata quella di aggiungere del noise a basso volume o sample di folle urlanti in pezzi elettronici per rendere più solido e pieno l’arrangiamento, e, a questo scopo, potremmo avvalerci di registrazioni di comunissimi suoni d’ambiente registrati in una piazza, o in un bar, quello che in ambiente accademico viene definito come rumore verde (Cosimi, E., 2011). I suoni naturali, come acqua e vento, rappresentano un’altra ottima sorgente per riempire i nostri brani, per non parlare delle meraviglie che ci attendono se proviamo a manipolarli con la sintesi granulare! I suoni naturali e alcune registrazioni d’ambiente, come il passaggio di veicoli, ad esempio, ci potranno tornare utili come whoosh per dare più impatto ai nostri drum samples, come vedremo più avanti. Consigliamo i video making of offerti da Cinetools (www.cine-tools.com ), nei quali un team di sound designer mostra come realizzare registrazioni per effetti da cinema. Arriviamo ora, finalmente, ai nostri drum sample. Che si tratti di percussioni o di kick, sicuramente ogni abitazione è piena di sorgenti interessanti. Per i kick, ad esempio, ci siamo trovati spesso a inserire microfoni all’interno di scatoloni di cartone, per poi percuoterli con bacchette da timpano orchestrale. La grandezza della scatola, in questo caso, determinerà la profondità della nostra cassa. Un altro esempio per i kick organici è quello dei palloncini: se sfruttiamo l’effetto di prossimità e picchiamo con le dita un comunissimo palloncino gonfio, saremo in grado di registrare un suono profondissimo, particolarmente adatto a kick e boom In questo caso, l’aria intrappolata all’interno del palloncino sarà la nostra cassa di risonanza. Le sorgenti, naturalmente, andranno poi processate, ed ecco alcuni consigli pratici per orientarsi all’interno dello sterminato universo dei processori audio. Spesso le nostre registrazioni non saranno immediatamente utilizzabili. Capita, specialmente nel field recording, che il rumore di fondo sia troppo alto, che il nostro file audio presenti dei click di varia natura, troppo riverbero, o altri inconvenienti. RX6, una suite di iZotope per la post produzione, è ciò che, ora più che mai, fa al caso nostro. Una serie di tool, come il Denoiser e il Declicker, per citarne un paio, renderanno le nostre registrazioni pulitissime in pochi istanti, senza dover eliminare Mb di lavoro e ricominciare da capo. In principio era l’analizzatore di spettro: vedere dove si attesta la frequenza fondamentale è di vitale importanza, e correggerla, con pitch shifting o, in altri casi, con il frequency shifting, ci permette di avvicinarci notevolmente al nostro risultato finale. Mentre il pitch shifting ragiona in semitoni, e, dunque, con valori prestabiliti, il frequency shifting permette di spostare l’intonazione del nostro suono agendo sulle singole frequenze, rendendolo uno strumento particolarmente adatto a sorgenti dal profilo atonale (i cui armonici, cioè, non sono multipli della frequenza fondamentale). In secondo luogo, quale sorpresa, equalizzazione, compressione e, soprattutto, distorsione, specie a più stadi per un maggiore controllo, come descritto nel primo speciale. Salvo le sorgenti piuttosto inusuali, il processing non nasconde segreti o tool esoterici. E che ne dite di pentole percosse con bacchette, del tintinnio di un mazzo di chiavi, di uno shaker creato con contenitori di sale o pillole, dello schiocco della lingua come percussione, di una porta che sbatte per creare un impatto, di bicchieri intonati a due ottave in basso per creare campane, o di interruttori e bottoni per piccole percussioni? Qualche parola va spesa anche per quanto riguarda i microfoni a contatto, o pick up microphones, i quali saranno pressoché muti a contatto con l’aria, ma se attaccati con un adesivo a qualsiasi sorgente, riveleranno un panorama sonoro totalmente sconosciuto, captando le vibrazioni della superficie di contatto (sarà impossibile prevedere quali suoni regaleranno le nostre sessioni). Per questa tipologia di microfoni, consigliamo di osservare il lavoro di Diego Stocco, straordinario sound designer che, tra le mille prodezze, ha trasformato un albero in un kit di batteria, oppure la libreria Nano Electronics di Samplephonics, creata attaccando microfoni a contatto a dispositivi elettronici come iPad e computer per catturarne il mondo sonoro nascosto.
LAYERING
Il layering è alla base di suoni complessi, pieni e di moltissime meraviglie nel sound design. Si stratificano verticalmente suoni di pad, lead e anche di percussioni o impatti. Tutto è valido, non esistono, come al solito, regole, ma solamente linee guida, di cui riteniamo opportuno citarne una: divide et impera. Accostare suoni complementari in termini di range di frequenze è la strategia vincente. Non andremmo molto lontani pensando di costruire un impatto layerando suoni pressoché identici. L’approccio consigliato è, invece, di ricoprire, con diverse sorgenti, le sezioni dello spettro, utilizzando dunque uno o più suoni per la parte bassa, uno per il transiente, uno per la texture, uno per l’high end e così via. L’equalizzazione e il pitch shifting saranno fondamentali per incastrare al meglio le sorgenti, senza che ci siano conflitti di frequenze e che il risultato finale sia chiaro. Questa strategia è adottata, ad esempio, per gli impatti e hit utilizzati nel cinema. Potremmo ragionare in questi termini anche per i clap. Avremo bisogno di un suono di partenza (potremmo sintetizzare il nostro clap in FM8, perché no!) e cui aggiungere carattere e texture con suoni organici. Provate a inserire, prima del transiente del clap, campioni di acqua, carta stropicciata, plastica, per aumentarne l’impatto. In altri casi, potremmo costruire il nostro rullante partendo da registrazioni di una scatola di metallo o di plastica, o qualsiasi sorgente abbia un transiente ben definito, per poi corredarla di cordiera, utilizzando, magari, del sale, della plastica, o qualsiasi oggetto il cui profilo spettrale si avvicini a quello del rumore bianco. Alcuni tool che potrebbero venirci in aiuto, sono S-Layer di Twisted Tools, un ensemble per Reaktor 5, Stacker di Sample Magic, e Granulator II, un device di Max for Live. I primi permettono di layerare facilmente diverse sorgenti, consentendo una grande flessibilità, specie nel modificare il pitch o l’inviluppo di ogni sorgente, mentre Granulator, sintetizzatore granulare, permette di triggerare diverse altezze del nostro campione e, con pattern MIDI più o meno complessi, di modificare la sorgente sia granulizzando il suono, sia layerandolo internamente.
CONCLUSIONI
Padroneggiare la sintesi, o, più in generale, solo una tecnica e lavorare con lo stesso workflow, risulterà sempre limitante. Aprirsi a sorgenti inusuali, sperimentare continuamente e cercare di ottenere risultati percorrendo vie diverse, non è solo finalizzato al suono in sé, ma anche all’esperienza e all’apertura mentale che il percorso stesso regalerà, arricchendo il nostro bagaglio e rendendoci pronti a fornire una risposta ad ogni problema o situazione. Questi sono solo alcuni suggerimenti, ogni cosa è musica, ogni oggetto che ci circonda può essere suonato, e noi saremo pronti a coglierne ogni sfumatura. La creatività, di fatto, sta proprio nell’immaginare come un oggetto comunissimo possa essere implementato nel sound design. A tal proposito, il bellissimo documentario sul sound design del film d’animazione Wall-E di Pixar è illuminante.