La diffusione dei monitor ATC negli studi più blasonati del mondo è capillare, tanto da farne una marca di riferimento per studi commerciali e per mastering top-end. Tuttavia il produttore inglese non è poi così conosciuto dal grande pubblico. Cerchiamo di capirne le ragioni attraverso il test di questi monitor a due vie.
ATC è un’azienda inglese il cui fondatore, Bill Woodman, proviene dalla lontana Australia. Inizialmente (dal 1974) la produzione di ATC si è concentrata sull’hi-fi, campo in cui tuttora eccelle. Nel tempo la scommessa del suo fondatore è stata quella di unire le caratteristiche tipiche dei monitor da studio con quelle dell’hi-fi : precisione, dettaglio e grande escursione dinamica. A tale proposito ATC ha progettato e realizzato una serie di driver specifici a magneti ceramici, tra cui il tweeter a cupola (soft-dome) montato sui modelli a partire dall’SCM50 e una serie di driver a particolare reiezione magnetica comuni a tutti i modelli. Il principio della reiezione magnetica tende a diminuire il fenomeno dell’isteresi... va bene: ci stiamo addentrando in una trattazione esagerata.
Mettiamola giù in modo più semplice e cerchiamo di capire questo complesso principio fisico: l’isteresi è il ritardo indotto da influenze specifiche nel passaggio da uno stato all’altro. Quando volete uscire con la vostra compagna per una cena con gli amici se lei è in ritardo sappiate che non è semplicemente in ritardo: sta affrontando il fenomeno dell’isteresi tra il suo stato non pronta e lo stato pronta. È una legge fisica che la ostacola. In termini magnetici, quelli applicabili ai trasduttori e come i driver delle casse, l’isteresi è il ritardo che il trasduttore impiega per porsi nella giusta posizione perché ancora magnetizzato dal precedente movimento, o perché immerso nel campo magnetico da lui stesso generato per rispondere alla sollecitazione precedente.
Costruire un cono isolato in modo ottimale dal suo stesso campo magnetico consente una reazione più immediata, con minore elasticità indotta, dunque con più precisione e con distorsione più bassa. Volendo fare un riassunto potremmo dire che all’ATC hanno lavorato per rendere i propri driver più reattivi e questa reattività, sia sui woofer che sui tweeter, si traduce in una maggiore fedeltà e precisione, dunque in minor distorsione indotta. Questa maggiore fedeltà risulta indispensabile durante il controllo e l’ascolto di complesse sessioni di registrazione, di mix o di mastering. La costruzione di ATC sfiora il maniacale: sul sito internet è disponibile il White Paper di Bill Woodman che descrive minuziosamente le modalità di realizzazione di ogni particolare dei driver.
Questo testo illustrato rappresenta una vera manna per chi intende addentrarsi nel complesso mondo della costruzione degli altoparlanti. Naturalmente Woodman non è un pazzo che scrive allegramente i suoi segreti: in realtà la ricetta per costruire un ottimo driver non è altro che un’unione perfetta di materiali e tecniche d’assemblaggio le quali, richiedendo macchinari specifici che suppongo molto costosi, diventano appannaggio o di artigiani più che preparati o di aziende con grossi capitali disponibili. A ogni modo, sebbene a puro titolo informativo, mi sono letto questo breve trattato e, una volta disimballate le ATC SC- M20ASL Pro, confesso che mi sono trovato intimorito di fronte a tanta scienza.
Dettaglio
Le ATC SCM20ASL Pro, a fronte di un nome così complicato, che da qui in avanti abbrevierò in SCM20 Pro, sono in realtà una coppia di casse attive a due vie, con tweeter da 25 mm (1”) e woofer da 75 mm (6,5”), il tutto mosso da due finali: uno da 200W per le basse e uno da ben 50 W per le medio alte. La pressione erogata è di 108 dB a un metro e il crossover è tarato a 2.8 kHz. Una cura particolare è dedicata allo chassis che, nella sua parte frontale, è realizzato in alluminio liscio di un bel colore grigio intenso, fermamente serrato al blocco posteriore per mezzo di una serie di viti a brugola, di passo anglosassone. Le SCM20 Pro garantiscono una banda passante che va dagli 80 Hz ai 17 kHz in modo lineare, scendendo no a 50 Hz sui bassi e arrivando a 22 kHz sulle alte, con un roll-off di circa 6dB.
La parte posteriore è un monoblocco in fusione pesantissimo e il pannello di controllo, incastrato nello chassis, offre all’utente un controllo rotativo a cinque scatti per il bass boost (40 Hz), più una porzione flat e anche un trimmer per il livello, che permette di adeguare la potenza erogata dai finali per consentire un buon matching con altri monitor collegati sulla stessa linea di ascolto. Il monoblocco, che assomiglia in modo incredibile a una stufa in ghisa anni ’30, è dotato di una maniglia pressofusa per il trasporto ed è costruito anch’esso in alluminio per ottimizzare la dispersione di calore. Il finale interno è ventilato e devo dire che non si fa affatto sentire anche quando usato in una situazione molto silenziosa, sebbene sia spesso messo alla prova dal calore generato dalle SCM20 Pro.
L’entrata è bilanciata XLR e l’alimentazione è switchabile per tutti i tipi di corrente del mondo. Come si vede dalle foto, le SCM20 Pro non sono bass reflex e la caratteristica che più salta all’occhio è l’enorme sospensione elastica del woofer, che promette molta escursione alla bobina mobile. Anche in questo caso la precisione di ATC è estrema: le sospensioni, per garantire il ritorno del cono nella sua posizione naturale, hanno una leggera filatura triangolare, che sembra essere quella che consente la migliore concentricità del sistema. Mettere in funzione le ATC è un’impresa degna di Maciste: pesano in un modo impensabile rispetto all’ingombro contenuto (oltre 30 Kg a cassa) e il trasporto e la sistemazione devono essere fatti da personale forzuto e giovane.
Suono
Quando ho messo in funzione le SCM20 Pro ho tolto le mie fidate Meyer HD1 per far loro posto, stando ben attento a conservare la figura di triangolo equilatero tra le due casse e la posizione ottimale d’ascolto. Ho preso il metro, ho fatto le misurazioni e ho finalmente acceso le ATC. La prima impressione è stata sconvolgente, in positivo e in negativo. La bella notizia è stata l’apertura dell’immagine stereo: ascoltando dei miei vecchi lavori ho notato cose che non immaginavo di aver fatto e la stessa cosa è avvenuta con i miei dati dischi di riferimento. Dire che l’immagine stereo delle SCM20 Pro è aperta è poco: la sensazione è quella di essere immersi nel campo stereofonico, in cui ogni dettaglio ha una sua precisa posizione e le code dei riverberi (anche quelli naturali di ripresa) diventano stagliate e nette.
Di sicuro le ATC sono i monitor migliori che ho mai ascoltato da questo punto di vista e sono certo che questa magnica sensazione che ho provato non riuscirò a ritrovarla tanto facilmente in futuro. Veniamo alla sorpresa negativa. La zona delle basse tra i 100 Hz e i 300 Hz era inesistente e, stranamente, sotto i 100 Hz la vita tornava a scorrere con delle basse profonde e ben stagliate. Un effetto veramente strano, che non ho mai avuto né con i near field Meyer né con i mid field Genelec, né con gli svariati monitor con cui ho lavorato seguendo le richieste di produttori o fonici che lavoravano nel mio studio. Dopo due giorni di lavoro (registrazione, per fortuna) con le ATC, francamente il mio giudizio era abbastanza negativo, vista questa mancanza endemica di medio-basse. Alla fine dovendo fare dei mix ho ripristinato le Meyer e, per far loro posto, ho dovuto stringere molto le ATC portandole in una posizione molto più frontale rispetto all’ascoltatore.
Posizione molto, molto stretta e dunque assolutamente fuori dai canoni di posizionamento ottimale dei monitor. Lavorando con le Meyer ho ritrovato le medio-basse scomparse e, durante il lavoro di mix, ho provato a fare lo switch sulle ATC, giusto per ascoltare nuovamente quella fastidiosa voragine. Ebbene: la voragine era scomparsa. Da quel momento le SCM20 Pro hanno cominciato a suonare in modo egregio, dimostrando di soffrire in modo sorprendente la distanza inclusa. Usate in una posizione quasi frontale hanno mantenuto la poderosa immagine stereo e hanno riconquistato tutto il corpo, dimostrandosi monitor completi e molto ben equilibrati. Naturalmente questa scoperta era da approfondire, così ho ripetuto l’esperimento in tre location diverse (lo studio B, il mio ufficio, che è una stanza di oltre 30 metri quadrati non trattata acusticamente e casa mia, in una sala molto grande) e il risultato è stato sempre lo stesso: sistemate a triangolo equilatero ho sempre sofferto questa povertà sulle medio-basse, in modo costante e uniforme.
C’è da dire che questo mi ha rincuorato perché una coppia di monitor che, pure in modo strano, si comporta uniformemente rispetto all’ambiente in cui si trova è una bella sicurezza. Se si conosce questa peculiarità delle ATC si può posizionarle nel modo corretto rimanendo certi che l’ambiente influenzerà in modo relativo il loro suono, il che, in termini di portabilità degli ascolti, è un pregio di non poco conto. Riportate le SCM20 Pro nella regia A ho dato fondo alle prove e agli esperimenti, fino a realizzarci dei mix completi. Una volta trovata questa posizione ottimale le ATC si sono rivelate dei monitor ottimi, estremamente precisi e affidabili. Il suono che rendono non è hi-fi: la dinamica è degna di nota e l’impressione che suonino un po’ nasali è presto fugata da un’abitudine che si acquisisce velocemente. Le basse sono profonde e ben equilibrate e scendono veramente tanto. Il corpo è buono, la percussione sulle parti basse è sempre molto in faccia, così come tutte le zone medie e gode di una certa compressione tipica del suono ATC.
Le estreme alte sono decise, ma mai esasperate, e proprio questa generosità sulle medio-alte sembra il miglior alleato dell’apertura così pronunciata del fronte stereofonico. Durante l’uso normale (senza tirar loro il collo) il woofer compie delle acrobazie preoccupanti, cui dopo un po’ ci si abitua. Di solito quando un woofer sembra esplodere io mi preoccupo e penso che questa sensazione sia condivisa da molti di voi. Nel caso delle ATC questo è un comportamento normale e dopo un po’ di paura ci si abitua. Rimane il fatto che il woofer sembra voler cambiare domicilio anche a bassissime pressioni sonore, il che lascia supporre che soffra di qualche residuo di continua che esce dai finali, i quali probabilmente sono la parte meno riuscita delle SCM20 Pro. Difatti queste ATC hanno i woofer in perenne esilio e, ascoltando a volumi contenuti, tutto questo movimento sembra ben poco motivato e soprattutto è poco udibile, il che lascia presupporre molta fatica per nulla. Alzando il volume si trova un equilibrio generale ottimale, da cui è bene non discostarsi troppo per non sbilanciare il suono.
Un pregio che ho apprezzato particolarmente è l’assenza di retroattività, che è molto accentuata sopra i 5-600 Hz, probabilmente generata dalla costruzione molto robusta e pesante della scocca posteriore. Un’altra caratteristica degna di nota è la possibilità, per mezzo di un piedino posteriore regolabile, di inclinare a piacimento l’angolazione verticale delle casse una volta poggiate su di una superficie. Nel mio caso, dato che il mixer è comunque abbastanza alto, poter inclinare di qualche grado verso il basso i monitor ha reso possibile il miglior allineamento tra i tweeter e il punto d’ascolto. Le ATC 20 Pro hanno una dispersione orizzontale molto ampia (160°) e questo comportamento è scientemente voluto in fase di progettazione, per ottenere sempre un mix tra suono diretto e suono riflesso nella stanza. Naturalmente, l’uso in regie molto strette può diventare discutibile se non ci si trova in una situazione di LEDE quasi perfetto, ma con un po’ di spazio a disposizione la dispersione del suono è ottima, consentendo ampi movimenti al fonico senza perdere il punto caldo d’ascolto ottimale.
Questa è una delle caratteristiche che ho più gradito delle ATC, perché di fronte a mixer grandi c’è sempre un certo disagio dovendosi spostare tra i canali estremi che, per loro natura, sono molto decentrati rispetto all’asse centrale d’ascolto. La dispersione verticale è invece molto contenuta, il che denota un’attenzione particolare per evitare le fastidiose riflessioni generate da un mixer ampio o da una grande superficie di controllo stesi ai piedi delle SCM20 Pro.
Conclusioni
Come tutti i monitor, anche le ATC hanno bisogno di una curva di adattamento dell’ascoltatore. Non so dire se esista il monitor perfetto, ma con un po’ d’abitudine sicuramente le ATC possono diventare uno strumento di controllo definitivo per situazioni che spaziano dall’home studio allo studio professionale di alto livello. I pregi che ho riscontrato sono il fronte stereofonico molto aperto e una precisione chirurgica sulle medio-alte, sebbene queste siano un po’ enfatizzate per certi contesti (penso ad esempio alla musica classica o al jazz), cosa che fa risaltare le voci e le chitarre elettriche nei mix pop e rock. Di tale caratteristica, sebbene possa aiutare molto per rifinire i dettagli più sottili, si deve tener conto in fase di mix. Lavorando per tempi prolungati con le SCM20 Pro non ci si affatica mai e, nonostante la potenza generosa dei finali (250W), l’ascolto gode sempre di una rilassatezza generale che, in fondo a una sessione di mix, fa la differenza.
La potenza delle ATC non deve trarre in inganno: stiamo sempre parlando di una coppia di near field, naturalmente inadatti ad ascolti spinti. La pressione sonora massima dichiarata si riferisce sicuramente a un ascolto non molto comodo e, comunque, sopra la metà dell’escursione del volume di c/room si comincia a sentire la fatica meccanica dei driver, costretti a improbabili acrobazie dai generosi finali interni. Sul frontale, un LED indica l’inserimento automatico dei limiter di protezione e, alzando un po’ il volume, è facile vedere la spia che occhieggia, consigliandoci di abbassare il livello. I punti sfavorevoli sono una certa compressione sulle basse, udibile anche a basso volume e le spiacevoli variazioni di bilanciamento generale al variare del volume d’ascolto. Le ATC, per questo comportamento, vi spingeranno ad ascoltare sempre più o meno allo stesso livello, trovando il vostro hot-spot personale più gradito e coerente.
L’innaturale movimento del woofer anche a volumi molto bassi denota qualche strano comportamento dei finali, cui probabilmente non è stata data un’alimentazione di pari livello rispetto alla qualità generale del prodotto. Un altro punto un po’ dolente è il prezzo che, sebbene sia giustificato dalla costruzione più che certosina, può confinare i prodotti ATC in una sfera molto esclusiva d’utenza. La lista degli utenti di ATC è impressionante: si va da George Massenburg, a Chuck Ainley, a Bob Ludwig, James Guthrie, Peter Walsh, solo per citare i miei miti personali. Sul fronte degli artisti usano i prodotti ATC Mark Knopfler, Lenny Kravitz, Skin, Enya, i Rolling Stones, Deep Forest e i Pink Floyd, solo per elencare quelli a me più cari. C’è da dire che tutti usano i modelli superiori di ATC che, per costo e resa, probabilmente si collocano in una fascia d’élite per quanto riguarda l’uso e i budget a disposizione.
PRO
Fronte stereo molto aperto
Estrema precisione sulle frequenze medio-alte
Ascolto riposante anche durante lunghe sessioni
CONTRO
Compressione sulle basse frequenze avvertibile sin dai bassi livelli
Sbilanciamento generale tra alti e bassi al variare del volume d’ascolto
Prezzo elevato
Caratteristiche |
Driver: HF 25mm, Mid/LF 75/150mm Amplitude Linearity (±2dB): 80Hz-17kHz Cut-off Frequencies (-6dB, free-standing): 60Hz, 22 kHz Max. SPL Continuo (1 metro): 108 dB Frequenza di Crossover: 2.8 kHz Connettori Input: Male XLR Sensibilità in Input: 1 V Input Sensitivity Trim: ±6 dB |