Progettate negli anni '60 da Les Paul in persona, queste quattro stanze di riverberazione situate nelle fondamenta dei Capitol Studio di Los Angeles hanno lasciato la loro impronta in così tante produzioni (Frank Sinatra, Ray Charles, Paul McCartney, Radiohead, Madonna e Muse, per citarne solo alcuni) da renderle praticamente una leggenda
Facciamo un salto indietro nel passato, perché è sempre bello e utile sapere da dove viene la tecnologia odierna e, nondimeno, è importante anche per capire dove sono i limiti e i vantaggi della modernità rispetto alle nostalgiche vecchie maniere. Come erano fatti i primissimi riverberi? Quali outboard si utilizzavano? Come venivano gestiti nel mix?
Queste sono solo alcune delle domande, ma sono sufficienti per una giusta introduzione: innanzi tutto c'è una cosa molto importante da considerare e non riguarda il riverbero in sé e per sé, ma l'immagine stereo del mix... che non c'era, o meglio, esisteva dagli anni 30 (brevetto Blumlein), ma comparve nelle prime produzioni solo vent'anni dopo e si diffuse a tutti i supporti solo a metà degli anni sessanta. Inoltre, i primi riverberi non erano altro che stanze costruite appositamente dove venivano posizionati speaker che riproducevano il suono e microfoni che riprendevano il riverbero aggiunto dalla stanza: il segnale così registrato veniva poi miscelato al mix dry e si otteneva così il giusto quantitativo di ambiente.
In seguito arrivarono gli spring reverb (a molla) e i plate reverb, nei quali la filosofia era la stessa solo che a essere ripresa non era una stanza ma dei materiali particolari che, vibrando, emettevano un suono percepibile come ambienza. Solo negli anni ottanta comparvero i primi riverberi digitali in formato ouboard, per poi lasciare il posto (ma nemmeno troppo) agli odierni plug-in ad algoritmo e/o convoluzione ma, ironia della sorte, la nostalgia di quei sistemi un po' antiquati e scomodi è a oggi così forte tra molti produttori che, a ragione o a torto, si utilizza la modernità per riportare in vita il passato, unendo la comodità del digitale all'unicità del suono analogico più puro.
UAD Capitol Chambers è un plug-in ibrido, ossia è sia a convoluzione che ad algoritmi e il fine ultimo è quello di unire la fedeltà al suono originale con la versatilità dei controlli più moderni, controlli che negli anni 60 non solo non esistevano ma non erano nemmeno producibili con le tecnologie del tempo. Quattro stanze coi rispettivi speaker e quattro tipi di microfono: questo è tutto ciò che compone la parte a convoluzione di questo plug-in; il resto è affidato alla sezione algoritmica che compie i relativi calcoli per applicare tutte le modifiche necessarie al suono originale.
Controlli
I controlli sono ridotti all'essenziale, per non snaturare oltremodo quello che fu il modus operandi di quel periodo; quindi, in linea di massima, ciò su cui si può intervenire è limitato rispetto ai riverberi ai quali noi sound engineer moderni siamo abituati, ma questo non è assolutamente un punto a sfavore anzi, in un certo senso, fa riscoprire il gusto di quando le cose venivano benissimo anche senza avere il controllo su decine di parametri (a volte totalmente inutili, c'è da dirlo).
- Chamber Select: permette di selezionare una delle quattro stanze
- Microphones Select: per selezionare uno dei quattro modelli disponibili (due omnidirezionali, un figura otto e un cardioide, tutti con diverse risposte in frequenza anche a seconda della prossimità alla fonte)
- Microphones Position: con questo slider si può decidere la distanza dei microfoni dalla fonte sonora. La cosa importante da sapere è che, quando è in posizione Maximum, la posizione è esattamente quella utilizzata per campionare l'ambiente mentre ogni valore inferiore è calcolato dagli algoritmi
- Predelay: compreso tra 0 e 250 ms serve per impostare il tempo di latenza dell'effetto rispetto al suono dry
- Power: accende o spegne il plug-in
- Decay: imposta il tempo di riverberazione, quando tale valore è su Max l'RT60 è esattamente quello campionato nella chamber originale mentre ogni valore inferiore è affidato agli algoritmi
- Filter: è un filtro passa alte che agisce su un range dagli 80 Hz ai 750 Hz con uno slope di 6 dB/ottava
- EQ: è un equalizzatore non parametrico a tre bande con gain da -10 dB a +10 dB, e agisce sui 125 Hz, 500 Hz e 5 kHz. Il knob dei Mid è a campanatura proporzionale mentre gli altri due sono di tipo Baxandall
- Mix: controlla il bilanciamento Dry/Wet ed è a scalatura logaritmica in modo da essere più preciso sui valori più bassi. Il tasto Wet Solo porta automaticamente il livello wet al 100%
- Width: controlla l'ampiezza dell'immagine stereo e, quando è settato su 100%, corrisponde alla naturale ripresa microfonica delle chamber mentre, quando è su 0%, il ritorno effetto è completamente in mono
In prova
Il suono in generale è gradevole, naturale, mai fastidioso nemmeno se si spinge un po' sulle alte frequenze o sulle medie. Il senso di tridimensionalità dato è soddisfacente anche se, onestamente, da un riverbero di questo tipo, mi aspettavo qualcosina di più, nel senso che, una volta attivato, non si ha quella sensazione netta che la fonte sonora venga spinta indietro nel mix, bisogna fare un po' di prove e trovare il preset giusto. Per contro invece sembra che al suono dry venga aggiunto un qualcosa di magico, che aggiunge le frequenze giuste per ravvivare tutto lo spettro in frequenza dello strumento o della voce processata, è come se UAD Capitol Chambers, oltre a dare un'ambienza, aggiungesse anche qualche proprietà emergente al suono diretto, una texture che solo adesso mi rendo conto di aver sentito tantissime volte, ma era quasi una cosa inconscia.
Registrando due volte lo stesso suono effettato e mettendo le due registrazioni in controfase il silenzio regna sovrano: questo è indice del fatto che gli algoritmi non generano quelli che vengono definiti eventi casuali. L'interfaccia è molto accattivante anche nel design, carina anche l'idea della luce sulla torre del logo che si illumina ad intermittenza finché un preset/parametro non è stato completamente caricato. Purtroppo la solita nota dolente è quella che riguarda molti plug-in UAD: aprirne più di cinque in un mix è quasi impossibile, il DSP dell'interfaccia audio arriva in poco tempo al massimo sforzo ma, almeno in casi come questo (in cui un solo effetto può ricevere più mandate), c'a da dire che con un paio di Capitol Chambers ce la si cava più che bene nella maggior parte dei missaggi.
Conclusioni
Fino a qualche anno fa era impensabile trovare riverberi a convoluzione soddisfacenti e spesso si finiva per sceglierne uno algoritmico, perché suonava meglio; con Capitol Chambers invece è come lavorare alla vecchia maniera ma con la comodità del plug-in, le due qualità sono state unite in modo magistrale in un prodotto che vale tutto il suo prezzo.
PRO
Suono
Fedeltà nella riproduzione
Precisione sul controllo di mix
164 preset
Chamber numero 7 di tipo moderno
CONTRO
Richiede molta potenza di calcolo da parte delle DSP esterne
Effetto tridimensionale non sempre immediato
INFO
Prezzo: 349 €