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Intervista: Blue Spirit Recording Studio e Ishtar presente e futuro


La storia di Ishtar è un caso particolare in Italia e nel mondo. Raramente la musica prodotta nel nostro paese è esportata all’estero. Ishtar, con le sue etichette, c’è riuscita grazie alla capacità manageriale e a una visione chiara degli obiettivi dei due soci fondatori Davide Rosa e Luciano Cantone.

Con il marchio Schema Records hanno portato al successo artisti del calibro di Nicola Conte, Rosalia De Souza, Gerardo Frisina, Mario Biondi, The Dining Rooms, S-Tone Inc, Toco, Vibrazioni Productions e ora, dopo venti anni d’imprenditoria musicale, Ishtar (www.ishtar.it) apre il suo nuovo studio di registrazione a Milano, il Blue Spirit Recording Studio, creato a uso e consumo delle proprie esigenze e di quelle dei produttori del suo rooster. I due soci sono attivi nella musica da sempre: Luciano nel campo della distribuzione discografica e batterista dilettante, ma con grande groove, e Davide nel suo piccolo studio immerso nella nebbia di via Mecenate a Milano. Incontriamo Davide un sabato mattina di gennaio, in una breve pausa di lavoro mentre sta finendo il mix della produzione di Piano Calling, il nuovo album di Cesare Picco.

Luca Pilla: Com’è nata Ishtar e che evoluzione ha avuto?

Davide Rosa: Dal 1986 fino al 1998 avevo un mio studio di registrazione, che utilizzavo per i miei primi esperimenti musicali ed era frequentato da vari musicisti di diversa estrazione. Si registrava di tutto, dalla musica contemporanea al death metal, dal jazz al pop. È stata come una nave scuola che ha contribuito notevolmente alla mia formazione e mi ha permesso di cominciare a navigare nel mondo della produzione. A differenza di altri naviganti, molto di moda in questo periodo, ho cercato di evitare inchini e scogliere pericolose e conoscere Luciano è stato come intravedere un nostromo che ti guida dentro il porto in sicurezza. A quel tempo Luciano Cantone si occupava di distribuzione e casualmente la società per cui lavorava si trasferì nello stabile di fronte allo studio. Si presentò un bel giorno chiedendomi di potersi esercitare con la sua batteria nella sala prova dello studio.

Ne è nata una forte amicizia e si è concretizzata l’idea che entrambi e da tempo stavamo maturando. Nel ’91 nasce, con sede nello stesso studio, Edizioni Ishtar, società di edizioni musicali e produzioni discografiche con l’intento di realizzare la musica a noi più vicina. Per far sì che questo accadesse, considerando le nostre poche disponibilità finanziarie, abbiamo cominciato a collaborare con alcuni giovani e promettenti DJ che si rintanavano di notte nello studio e al mattino seguente ti facevano trovare un master fresco fresco da pubblicare. Molto spesso era musica tecno/house che stampavamo solo in vinile la cui distribuzione ci dava possibilità di monetizzare in tempi brevi.

Monete reinvestite nelle prime produzioni legate al nostro background musicale jazz, acid jazz, black music (pubblicate con il marchio Schema Records), elettronica, world music e contemporanea (Sensible Records), senza disdegnare un certo rock d’autore. Successivamente, con l’acquisto del catalogo Cawoo di Gigi Campi, abbiamo cominciato a ristampare alcune vere gemme del jazz degli anni ’60 e ‘70 (Schema Rearward).

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Luciano Cantone, Marco Olivi e Davide Rosa in regia, foto di Veronica Rosa.

LP: Come vi siete mossi con gli studi di registrazione in questi anni?

DR: Buona parte di queste produzioni erano effettuate con il Soundcraft TS12 del mio studio, altre, per esigenze organizzative, in studi noleggiati, più comodi per produttori o musicisti ingaggiati per l’occasione. Fino alla fine del 1997 abbiamo cercato di dare una forma, un senso alle nostre idee iniziali, poi inesorabilmente, la lettera di sfratto che mi ha costretto a chiudere lo studio e trovare per Ishtar una nuova sede, l’attuale, con l’intento di riaprire al più presto un nuovo studio. Il lavoro di produzione ha iniziato ad assorbirci completamente anche per l’arrivo dei primi piccoli successi e l’idea di pensare a un nuovo studio si allontanava sempre di più.

Da lì è nata l’assidua frequentazione di altri studi per le nuove produzioni che io e Luciano decidevamo di seguire personalmente. È stato anche divertente lavorare con i fonici residenti: hai più concentrazione nel curare la produzione, senza perderti in problematiche tecniche, e puoi ragionare anche sul mix finale che quasi sempre porta la nostra firma. In quegli anni andava bene così ma le cose, con Internet, sono cambiate.

LP: È arrivato l’accesso a Internet e il boom dei file digitali.

DR: Esattamente. Era il 2002 e già pensavamo che lo sfruttamento dei diritti del nostro catalogo sia master che editoriale potesse avere in un futuro molto prossimo un‘importante rilevanza nell’era di Internet e dei file facilmente scaricabili gratuitamente. È stata quindi creata negli anni seguenti una rete di sub-editori che copre la maggior parte dei paesi del mondo e che rappresentano Ishtar nei vari territori oltre che garantire una fonte sicura per il collecting, laddove non è facile rintracciare quanto ti spetta. Con l’avvento di iTunes e delle prime piattaforme di distribuzione digitale, ci siamo premuniti fin dagli inizi, di stipulare contratti diretti con Apple e altri store, senza patire il riconoscimento delle royalty a cascata che, firmando con aggregatori, inevitabilmente patisci.

Recentemente abbiamo firmato un contratto di partnership con Google per i contenuti su YouTube. Lo sfruttamento dei diritti è solo un inizio ma già suona come futuro. L’idea di aprire lo studio nasce anche dall’esigenza di creare nuovi diritti.

LP: Qual è il vostro pensiero sulla pirateria?

DR: Indubbiamente soffriamo la pirateria come tutte le etichette. Troviamo tutte le nostre produzioni su siti illegali, e questo dato in qualche modo quasi ci conforta, perché vuol dire che un minimo di richiesta c’è per il nostro catalogo. Non ci facciamo però molti scrupoli, perchè il nostro pubblico è adulto e, spesso, sappiamo che scaricano i pezzi su Internet per ascoltare la qualità del prodotto e poi comprano il CD o lo scaricano legalmente.

LP: Ishtar si caratterizza per sonorità particolari.

DR: È il richiamo al sound degli anni ’60 e ‘70, che abbiamo sempre adottato. Sonorità con colori sempre caldi, mai freddi. Ricreare quel suono in studio non è sempre facile e dipende molto dai musicisti e dal produttore. Un ottimo sound è stato trovato con Nicola Conte, che frequenta lo studio Sorriso di Tommy Cavalieri a Bari o con altri artisti al Cavò Studio di Paolo Filippi. Altrettanti sound eccellenti li abbiamo ottenuti in home studio, poi spesso mixati su vecchi banchi Alesis e Mackie.

LP: A differenza di quel che normalmente accade, avete deciso nel 2011 di aprire uno studio di registrazione collegato direttamente al lavoro dell’etichetta. Che percorso avete compiuto per arrivare a questa decisione?

DR: Abbiamo iniziato a pensare allo studio nel 2009. L’uso di studi terzi cominciava a limitarci nei tempi e anche nella sperimentazione. Affittando uno studio è necessaria la prenotazione, l’utilizzo in orari concordati e hai a disposizione un tempo limitato a causa dei budget che, mai come oggi, devono essere più che bassi e più che rispettati. Con questi termini diventava difficile pensare anche a nuove sperimentazioni dall’esito magari incerto. Cosa poteva venirci in mente di meglio se non creare un nuovo studio tutto per noi, magari a fianco degli uffici?

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Uno scorcio della sala di ripresa.

LP: Quali sono state le considerazioni per lo studio?

DR: Essendo della vecchia scuola, abbiamo optato immediatamente per uno studio analogico, adatto a riprese dal vivo per almeno un quartetto/quintetto ma che fosse anche versatile per qualsiasi situazione. Prioritariamente abbiamo valutato il rischio d’impresa e deciso di acquistare fin da subito lo spazio per lo studio, per non avere problemi di sfratto o di affitto. Doveva essere vicino agli uffici e siamo stati fortunati a trovare questa struttura adiacente alla sede dell’etichetta.

Costruire uno studio intensamente analogico e tecnologicamente avanzato e con mille altre esigenze non è stato semplice, ma affidandone a Tommaso Colliva la concezione e la scelta delle macchine, e a Josif Vezzoli il progetto acustico e al suo staff la realizzazione, abbiamo fatto centro. Tommaso è stato molto bravo a capire quello che volevamo fare con lo studio, Josif molto bravo a capire come lo volevamo. Un grande aiuto per i cablaggi è arrivato anche da Giovanni Blasi.

LP: Che ruolo ha avuto lo studio nel business di Ishtar dopo circa un anno di attività?

DR: Uno studio di questo grado diventa, assieme alla musica che hai fatto, il biglietto da visita della società. Ha già funzionato bene: quando fai vedere lo studio ai musicisti e ai produttori con i quali vuoi lavorare, offri la possibilità di non avere un impegno pressante per il tempo limitato dell’affitto dello studio. Riusciamo a lavorare con calma, con tutti i tempi necessari per sperimentare nuove soluzioni o mix. La versatilità dello studio è tale che in quest’anno abbiamo chiuso lavori di vario genere, produzioni elettroniche ma soprattutto acustiche. La quantità di lavoro è aumentata come pure il gusto di lavorare sodo. Non c’è alcuna intenzione di affittare lo studio a terzi, anche perché dovremmo praticare dei prezzi troppo alti per il momento storico che stiamo vivendo. Svenderlo, andando a concorrere con altri studi, non è nella nostra intenzione.

LP: Quanto è costata l’intera struttura e come avete concepito il piano di rientro?

DR: Diciamo che l’investimento è stato notevole ma seguito con grande dovizia e calcolando anche il minimo rischio d’impresa. Il piano di rientro, ipotizzato e sperato, di qualche anno, non ci preoccupa più di tanto.

LP: Lo studio è basato su un sistema Avid Pro Tools HD3 con convertitori Apogee DA/AD16X, particolarmente ricco di compressori ed equalizzatori rigorosamente analogici. Come gestisci questo connubio?

DR: Dal 1997 al 2011, gli anni senza più studio, il digitale ha fatto balzi da gigante e mi sono dovuto confrontare oggi con tecnologie avanzatissime, cose che piacciono molto ai giovani e, anche per avere il tempo di gestire tutto il resto, ho avuto la necessità di un assistente giovane, trovato nella persona di Marco Olivi che è velocissimo anche con l’editing su Pro Tools. Sta diventando un ottimo sound engineer. Qui consideriamo importante che il mix sia concepito come la prestazione di un musicista, frutto di quel preciso momento di esecuzione. Siamo pignoli ma amiamo il mix d’istinto e ancora ci divertiamo molto a usare l’outboard analogico e la consolle anzichè i plug-in, che sono oramai di ottima qualità ma non danno la stessa soddisfazione.

LP: Il progetto acustico è di Josif Vezzoli di JVAcustic.

DR: Josif ha preso a cuore questo progetto e con lui, come del resto con Tommaso, si è creato un ottimo feeling. La struttura ha alcune colonne impossibili da spostare e volevamo una sala versatile. La superficie totale, tra regia e sala, è di circa 120 mq. A lui abbiamo chiesto di avere delle finestre con visibilità massima, per ottenere l’impressione della regia nella sala, con luci non stancanti e un buon ricircolo d’aria. Josif ha saputo interpretare bene l’idea.

LP: I monitor principali sono Quested HQ120, cosa vi ha portato a questa scelta?

DR: La scelta dei monitor è stata difficile, alla fine abbiamo scelto le HQ120 perché sono il giusto compromesso tra qualità e prezzo. Sono monitor piuttosto difficili ma se il mix suona bene su questi monitor, andrà bene anche per tutti gli altri ascolti. Utilizziamo raramente anche le Adam A7X e le Genelec 3210 come nearfield, ma solo come controllo. L’intero mix è condotto sulle Quested. Spesso testo i mix su cuffie Senneheiser HD575, che sono piuttosto colorate ma che uso a casa per ascoltare musica.

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Il rack dell’outboard a sinistra del mixer SSL, con processori di dinamica Empirical Labs, Universal Audio, Elysia, Retro e Thermionic Culture.

LP: Parliamo della fase di mastering.

DR: Malgrado ci siano in studio alcune macchine che potremmo usare per il mastering, non è il nostro lavoro e ci siamo sempre affidati al Nautilus e a Giovanni Versari, che da sempre è il nostro mastering engineer di fiducia. Difficilmente seguiamo il processo di mastering, per fiducia nei confronti di Giovanni e anche perchè non è facile essere lucidi negli ascolti in uno studio che non conosci, quindi meglio evitare.

LP: Come vedi la discografia oggi?

DR: La musica oggi è praticamente gratis se vuoi, chi continua a produrla dovrà adattarsi a un nuovo regime e trovare spunto in altro modo per rientrare dei costi, anche cambiando mentalità. Negli anni scorsi la principale tendenza era quella di creare il prodotto da classifica, da radio, con una bella immagine e un brano ruffiano. Adesso la pacchia sta finendo, stanno cambiando gli usi e i costumi e dobbiamo capire che la musica non può più essere considerata un prodotto da vendere al pari delle banane. Partiamo da questo spunto e i risultati arriveranno da soli.

LP: Secondo alcuni c’è un ritorno al vinile.

DR: Abbiamo sempre prodotto i nostri album anche in versione vinilica, per via del tipo di musica che produciamo. Gli appassionati di Jazz sono spesso appassionati anche di vinile ed è quindi venuto spontaneo e naturale per noi non abbandonare questo formato. La flessione anche per i vinili comunque c’è stata, ma decisamente in misura minore e noi non facciamo testo dal momento in cui produciamo Jazz per gli appassionati. Per gli altri generi, soprattutto il pop che per sua natura fa notizia, si parla tanto del trionfale ritorno del vinile, peccato che non corrisponda poi a una trionfale vendita. Mi sembra in realtà un ritorno più del gadget vintage piuttosto che di un formato riscoperto a tutti gli effetti. È la stessa piega che sta prendendo anche il CD.

LP: Come può fare un artista a entrare in contatto con voi?

DR: È sufficiente bussare alla porta, purché abbia buone proposte, soprattutto affini al nostro suono.

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