Il passaggio dall’equipment standard di un chitarrista, nelle sue diversità, a una configurazione virtuale non è un passaggio immediato: si confronta o scontra non solo con le esigenze del musicista, ma con una tecnologia in continua evoluzione.
Se nel mondo analogico da cui bene o male tutti noi proveniamo (non essendo ancora nati i chitarristi nativi digitali che saranno i musicisti del futuro) la configurazione prevedeva una chitarra e un amplificatore, setup più avveniristici hanno visto la chitarra collegarsi prima a una scheda audio poi a un PC fino ad arrivare a tablet e smartphone. È necessario fare una premessa, distinguendo cioè quello che può essere considerato un livello professionale da un consumer, per evitare di cadere in equivoci scontati e banali (cit. se registro la chitarra con iPhone non suona bene come l’amplificatore…). Non trascuriamo le varie fasi che anche lo standard classico di riferimento ha subito; prima l’avvento degli stompbox (uno, due poi venti!) e poi il passaggio ai rack verso la metà degli anni ’80. L’avvento delle pedalboard che più o meno integravano le funzionalità di più stompbox, fino a diventare invece dei veri e propri processori, ma, intendiamoci, queste sono tutte evoluzioni non solo di carattere estetico ma anche e soprattutto funzionali e circuitali, con tecnologie costruttive sostanzialmente diverse e che hanno prodotto nel tempo suoni e timbri molto differenti fra loro, non solo per il mutare del gusto ma anche della tecnica costruttiva. Lo stesso percorso evolutivo sta avvenendo nel digitale che se ha visto prima una veloce susseguirsi di hardware sempre più raffinati, ha poi introdotto il concetto di plug-in fin poi riportare tutta questa tecnologia nuovamente in pedalboard che però al loro interno racchiudono oramai non più circuitazione analogica ma processori (vedi i prodotti di Line 6).
I primi effetti
Può sembrare un ritorno al passato ma credo sia invece il caso di chiamarlo ritorno al futuro. Ricostruendo la storia, la prima grande rivoluzione chitarristica è l’introduzione degli effetti, cioè tutti quei componenti aggiuntivi che andavano a interporsi tra la chitarra e l’amplificatore; parliamo non solo di riverberi e dei primi esemplari di echo a nastro, ma anche di compressori, distorsori, flanger e chorus, tutto ciò che in definitiva contribuiva a rendere il suono più interessante e soprattutto variegato pur in presenza della stessa chitarra e dello stesso ampli. Questa precisazione che può apparire scontata, è invece il punto di partenza reale per un’analisi dei processi con la consapevolezza che l’esigenza di una varietà timbrica nasce da lontano e non da oggi. L’utilizzo degli effetti, inizialmente demandato alla connessione seriale di uno o più pedalini, porta negli anni alla realizzazione di setup anche complessi con personalizzazioni estreme anche nei sistemi di alimentazione degli stessi, per supplire ai problemi derivanti da un rapporto segnale rumore sempre critico; il mercato delle pedaliere cosiddette tuning trova ancora oggi un seguito non indifferente tra i puristi del genere. La tecnologia dei pedalini era però soppiantata verso la fine degli anni ’80 dall’introduzione dei rack da 19”; in quegli anni un chitarrista per essere visto come professionista doveva avere il suo rackmount con un numero il più possibile elevato di rack, meglio se dotati di molte luci, ovviamente!
Dal rack al pc
Ironia e paradossi della storia a parte, la tecnologia che doveva diventare la soluzione ergonomica ai problemi dei pedali, rischiava di diventare ancora più ingombrante, ma sicuramente di livello più alto: la qualità costruttiva del rack era certamente più alta ma soprattutto si passava dall’analogico al digitale, non senza dei problemi. I primi rack suonavano davvero freddi e impersonali (i convertitori A/D e D/A erano di bassissimo livello se confrontati a quelli odierni) e molti tornarono ai cari vecchi pedalini. Il terzo step, quello più vicino a noi, è il passaggio dal rack al PC che permette di collegare direttamente la chitarra a una workstation. A questo punto le cose però cambiano davvero, perché a saltare non è più la catena di effetti che si interpone fra strumento e amplificatore, ma l’amplificatore stesso e tutto ciò che lo precede. Questo diventa possibile grazie alle prime schede audio che prevedono un ingresso con valori di impedenza alti e quindi compatibili con uno strumento come la chitarra. Non è facilmente databile il momento in cui queste schede siano entrate sul mercato, ma parliamo del periodo a cavallo tra la fine degli anni ’90 (con degli esperimenti più o meno riusciti) e i primi anni 2000. Le prime schede sono esterne, connesse a un PC prima con cavo seriale poi con USB, con inevitabili problemi ovviamente causati dal ritardo tra l’esecuzione e l’uscita del suono dai monitor (latenza). Questo dipendeva da diversi fattori tra cui i sistemi di connessione con un bus molto basso e la stessa velocità dei processori. Il blocco quindi era la stessa tecnologia costruttiva dei computer e fino a quando il progresso non toccò gli stessi processori, nulla si poteva fare. Il veloce incremento con cui vengono prodotti processori sempre più rapidi a partire proprio dagli anni 2000, è coinciso con un arricchimento in termini di hardware dedicati sempre più performanti; le cose non potevano avvenire se non in quest’ordine. Solo quando è stato possibile abbattere sensibilmente i valori di latenza si è potuto ragionare su come fare a collegare, registrare e personalizzare il suono di una chitarra all’interno di una DAW.