Partito da Treviso, Riccardo ha trovato il successo a Londra lavorando a fianco di grandi produttori e musicisti nel team che ha prodotto Uptown Funk di Mark Ronson feat. Bruno Mars.
Prodotto da Mark Ronson, con all’attivo diversi album di platino negli Usa, Uptown Special è un album registrato in ben 12 studi di registrazione differenti utilizzando prevalentemente una console MCI 500 e registratori a nastro, in particolare lo Studer 800 a Londra. Ricco di strumenti come il Clavinet, il Wurlitzer, il Moog Micromoog o il Voyager, Uptown Special ha tutte le tracce di batteria registrate su nastro, ed è qui che entra in gioco Riccardo Damiani assieme a Josh Blair.
Riccardo comincia a lavorare come sound engineer residente nello studio Zelig di di Mark Ronson nel 2014, quando la produzione di Uptown Special era già avviata. Entra nel progetto occupandosi della registrazione dei sintetizzatori suonati da Jeff Bhasker, delle chitarre di Mark e degli ottoni. Si occupa poi di tutta la programmazione e dell’editing del pezzo per la preparazione del mix, in particolare degli overdub.
Luca Pilla: partiamo dallo Zelig: qual è la filosofia dello studio?
Riccardo Damian: lo studio di Mark è prettamente analogico lavorando comunque su Avid Pro Tools 10 HDX; il banco è un MCI JH 500, i preamplificatori utilizzati sono Avalon 737, Universal Audio 2-610 e Chandler Limited LTD-2, seguiti da Pultec EQP-1A3 e il mitico Fairchild 670. Abbiamo tantissimo outboard vintage tra cui riverberi e delay AMS, i classici Urei 1176, un EMT 140 e un 240, uno Studer A800 e uno Scully 280. La cosa più nuova dello studio è il sistema Avid Pro Tools (HDX con HD I/O) e i monitor ATC 25 e ATC 200.
LP: parliamo della registrazione della batteria di Uptown Funk
RD: Mark è molto affezionato ai suoni funk anni ’70, quindi in genere suoni molto tight e punchy. La ripresa della batteria è stata realizzata con due RCA 77DX, uno sopra il kit per gli overhead e l’altro a mezzo metro dal pavimento posizionato tra la cassa e il rullante. L’altro microfono mono per gli over era un Unidyne 545. Per il rullante due Shure SM57 (uno sopra e uno sotto). La cassa invece aveva un Sennheiser MD421 davanti (pelle senza buco). I due RCA andavano sul Chandler Limited TG1 e poi su due Pultec EQP-1A3, mentre cassa dentro e rullante sopra invece andavano a due dbx 160.
Uptown Funk ha poi moltissimi sample che accompagnano la batteria suonata da Bruno, prevalentemente cassa, rullante e clap di una drum machine LinnDrum. I sample di clap sono stati processati con diversi outboard, tutti in parallelo: Eventide H910, Eventide H3000 D/SE, EMT 140. Abbiamo inoltre passato i clap su nastro (Studer A800) usando il varispeed per renderle più grosse e corpose.
LP: per le chitarre e il basso?
RD: le chitarre sono state registrate a Toronto con una Harmony passata dentro una D.I. e un Mutron Bi-Phase. Allo Zelig ho registrato una Fender Stratocaster in un ampli Fender Vibrolux ripreso con un Unidyne 545 attraverso i pre del banco MCI JH 500 e quindi diretto allo Studer A800. Il basso era un Fender Precision in una D.I. con trasformatori Cinemag e in un ampli; microfono Neumann U47 FET in pre Altec 1566, poi Pultec EQP-1A3 e un dbx 160, prima di arrivare su Pro Tools.
LP: gli ottoni sono una colonna portante del pezzo, come li hai registrati?
RD: le trombe le ho riprese con un RCA 77DX, i sax con Shure SM7, mentre il trombone con un Reslo. Tutti i microfoni preamplificati dal banco, compressi rispettivamente da due 1176 e un Retro Sta-Level. Tuttavia queste takes non sono poi state utilizzate nel pezzo finale.
LP: la voce di Bruno?
RD: semplicemente uno Shure SM7 registrata nello studio a Toronto.
LP: il Fairchild è così mitico come si dice? Per quali sorgenti lo utilizzate di solito?
RD: sicuramente è mitico per il prezzo (£ 25000); a parte ciò, è un compressore molto interessante, l’ho utilizzato spesso su chitarre acustiche ottenendo dei risultati fenomenali, soprattutto se abbinato a un microfono a nastro. L’ho usato tanto anche sui piano con una resa più che discreta. Il risultato più soddisfacente l’ho ottenuto sul disco jazz Dem Ones di Binker and Moses che ho registrato un anno e mezzo fa. Il disco è andato benissimo e ha vinto tanti premi tra cui un Mobo Award; il Fairchild era l’ultimo elemento della catena usata per gli overhead: due Reslo UD1 con tecnica AB equidistante da cassa e rullante, pre del banco (MCI JH 500), equalizzati dai Pultec EQP-1A3 (versione transistor) prima del Fairchild.
LP: qual è l’outboard di cui non potresti fare a meno?
RD: sinceramente sono molto flessibile e lavoro con quello che ho a disposizione. Anche se ho usato l’1176 sulla voce così tanto che ormai mi ci sono abituato. Uso molto spesso il Maag EQ4, sia hardware che in versione plug-in e la stessa cosa con l’Eventide H3000 e i plug-in Soundtoys, tra cui Micropitch.
LP: per quanto riguarda i microfoni invece?
RD: tutti mi odiano per questo, ma uso molto spesso lo Shure SM57, non sono pignolo a riguardo! Generalmente con una buona coppia di AKG 414 vecchi (EB o ULS) o con la mia coppia di Sony C-48 posso fare un po’ tutto quello che voglio; in altre situazioni mi adatto molto a quello che trovo e a volte questo mi piace, perché posso sperimentare con microfoni diversi e imparare cose nuove.
LP: c’è qualche tecnica di produzione che hai imparato ad applicare in questi anni?
RD: sicuramente l’importanza di strutturare le parti di un brano e gli arrangiamenti, considerando lo spettro di frequenza in vista della fase di mix. Ovvero pensare già in fase di produzione a come tutti gli elementi dovranno interagire tra di loro e allo spazio che dovranno occupare all’interno della canzone. Quindi, stare molto attenti a distribuire le parti dei vari strumenti in modo da coprire la maggior parte dello spettro.
LP: cosa è cambiato da quando hai vinto il Grammy?
RD: le persone si relazionano con me in maniera diversa, questo sicuramente. Mi rendo conto sia un riconoscimento molto prestigioso per quanto riguarda l’industria musicale; di conseguenza ricevo molto rispetto da parte delle persone, come d’altra parte faccio io quando mi trovo a parlare con altri vincitori di Grammy. Sinceramente, non mi sono ancora del tutto reso conto di aver ricevuto questo premio…è stata un’esperienza così incredibile che quasi non mi sembra vero, però ha decisamente portato un sacco di contatti e opportunità che prima non avrei avuto.
LP potrebbe essere la prima domanda, ma preferisco sia l’ultima: come sei arrivato allo studio di Mark?
RD la chitarra è stato il mio primo strumento e a 15 anni sono entrato per la prima volta in uno studio di registrazione. Durante il liceo lavoravo già come assistente al Magister Recording Area di Preganziol, guidato da Andrea Valfrè che è stato anche il mio mentore. Finita la maturità ho deciso di iscrivermi al SAE di Londra e nel momento in cui scrivevo la tesi fui chiamato dal rettore che aveva un’opportunità che, secondo lui, era perfetta per me: si trattava di un posto di in-house engineer allo studio di Mark Ronson. Il resto lo conosci già!