Una chitarra diretta nell’ampli e via! Questo era il signal flow del chitarrista tipo in un’era in cui gli effetti ancora non erano così diffusi. Eppure non è affatto facile riprodurre con processori software un setup così minimale…questa è una sfida da chitarristi virtualizzati!
Riprendiamo un capitolo che avevamo iniziato anni fa, con lo stesso spirito di avventura e un pizzico di provocazione ma soprattutto con molte novità sul tavolo e nella workstation! La sfida di questi speciali è di riprodurre il suono dei grandi chitarristi con nuovi sistemi e tecniche, con il digitale e il virtual guitaring. Il tentativo è di emulare suoni del passato, con pro e contro, con tutte le difficoltà e difformità che hanno reso celebre un suono o una canzone; il tutto senza dimenticare come la tecnologia, anche di ascolto, sia cambiata.
Oggi ascoltiamo un file, mentre nel nostro immaginario abbiamo ascoltato quel riff da un CD, una musicassetta o un vinile e, solo nel migliore dei casi, da una versione rimasterizzata. Mettiamo in conto quindi anche una sorta di estrapolazione e astrazione nel cercare di capire quel suono come avrebbe dovuto essere, come suonava e come fu registrato. Un gran divertimento!
I gloriosi anni ‘70
Iniziamo questo nuovo capitolo partendo volutamente dagli anni ’70, proprio a sottolineare questa distanza non solo storica ma anche e soprattutto tecnica. Parliamo di registrazioni analogiche, di setup chitarristici molto elementari; fatti nella maggior parte dei casi da un amplificatore e una chitarra e solo in qualche caso da un flanger e poco altro. Eppure la musica degli anni ’70 ha molto da raccontare! I sound engineer, a corto di tecnologia, dovevano inventarsi le cose più strane per poter personalizzare il timbro; si sprecano esperimenti di cabinet aperti, chiusi, ripresi davanti frontalmente o posteriormente o anche al suo interno. Per passione e storia personale mi sento di partire dal grande Ritchie Blackmore, un chitarrista che ha fatto la storia della chitarra e del rock forse sottovalutato rispetto a molti suoi colleghi.
Di Ritchie, classe 1945, distinguiamo essenzialmente tre fasi musicali: Deep Purple, Rainbow e il suo ultimo progetto Blackmore’s Knight. La fase dei Deep Purple è quella che ha reso celebre Blackmore al mondo; il suo nome e la sua carriera è legata a riff come Smoke on the Water, Higway Star, Child in Time e via dicendo. Classici del rock che i più giovani conoscono per i motivetti ricorrenti dei soli, magari ignorando che dietro alla sei corde ci fosse il grande Ritchie. Il suono di questo periodo è apparentemente molto elementare: Fender Stratocaster collegata a un Marshall al massimo volume, niente di più. In realtà quei cabinet erano inimitabili e il suono era destinato a diventare un riferimento nell’hard rock di matrice settantiana.
L’esperienza Rainbow, nata nella seconda metà degli anni ’70 e a cavallo con il florido decennio ’80, porta Blackmore verso sonorità più heavy e moderne. La distorsione è più spinta, il suono più raffinato, phasing e flanger contribuiscono alla creazione di timbri particolari e sempre distintivi. Senza mai abbandonare la sua Stratocaster, Blackmore ci regala ora dei riff più articolati e che basano la loro efficacia proprio sul suono. Anche i pick up cambiano, e se negli anni ’70 rimangono i classici Fender o Di Marzio, nei Rainbow compaiono dei Seymour Duncan dal suono più aggressivo e hi-gain. La terza fase musicale, quella celtica-folk di Blackmore’s Night, pur regalando ballate di incredibile bellezza estetica, non si rivelano innovative da un punto di vista stilistico o timbrico.
Il timbro di Blackmore
Nell’analisi del timbro e nel tentativo di riprodurre il suono di questo mostro sacro della chitarra, abbiamo utilizzato diversi plug-in; nel dettaglio Guitar Rig di Native Instruments, BIAS di Positive Grid e AmpliTube 4 dell’italiana Ik Multimedia.
Highway Star
Il primo brano di cui ci occupiamo è Highway Star; uscito nel 1972: fu reso famoso nella più popolare versione dell’album live Made In Japan. L’originale, tratto da Machine Head, ha un BPM più lento.
Il suono è graffiante e nasale al tempo stesso, tipico del pickup al manico di una Stratocaster. Celebre, oltre al riff e alla strofa, lo storico assolo di chitarra che cercheremo di riprodurre con gran divertimento avendo recuperato la base originale senza la traccia di chitarra (Internet è una manna dal cielo)! Per questo timbro abbiamo utilizzato BIAS di Positive Grid: grazie infatti al controllo del BIAS delle valvole abbiamo la possibilità di saturare molto il segnale di ingresso nella valvola, dando un timbro tipico di quel periodo dei Deep Purple. Simulazione di testata e cabinet Marshall.
Burn
Il riff di Burn, secondo brano che analizziamo, è entrato nelle library di ogni chitarrista rock; la formazione dei Deep Purple è la Mark II (1974) con Dave Coverdale alla voce. Un sound meno settantiano e più moderno (per l’epoca). Guitar Rig si comporta molto bene, con un setup elementare costituito da testata e cassa Marshall, emulazione del JCM 800 e uno spring reverb per emulare il riverbero a molla.
La particolarità dei Rainbow è sicuramente un certo dualismo. Da un lato riff e melodie barocche e neoclassiche, soprattutto nei primi album con Ronnie James Dio alla voce, per poi avvicinarsi a sound più AOR e POP con i cantanti G. Bonnet e J.L. Turner. Il brano All Night Long racchiude tutto lo stile di Blackmore nel costruire i suoi riff con bicordi per quarte (dalla storica Smoke on the water) ora in chiave più melodica, siamo nel 1979. Timbro leggermente più compatto e moderno, BIAS risponde a dovere con la testata British Lead 800 (sempre un JCM). Attenuiamo i valori di presence per evitare un suono troppo tagliente.
I Surrender
Ultimo brano di cui ci occupiamo è I Surrender uscito nel 1981 con alla voce il bravissimo J.l. Turner; scritto da Russ Ballard (che diventerà poi famoso come cantante con il brano Voices), rappresenta forse il punto massimo raggiunto dai Rainbow nella sintesi fra classico e pop, un mix difficile ma reso dalla maestria dei Rainbow, di incredibile magia. Il brano forse più raffinato dei quattro, Amplitube 4 si comporta alla perfezione con una simulazione Marshall e uno studio reverb. Valori di Gain considerevoli ma non eccessivi per non perdere attacco ed effetto corda.