Behringer sta diventando il miglior amico del tastierista in cerca di analogico, in particolare dei più giovani che non hanno mai messo le mani sul vintage o che, più semplicemente, non se lo possono permettere. Dopo il successo di Model D, con i limiti delle dimensioni, arriva il bellissimo Poly D.
Abbiamo un amore smodato per tutto quello ha oscillatori, filtri e inviluppi Moog. Amiamo visceralmente quel suono, tanto da mantenere in perfetto funzionamento due Minimoog con schede oscillatori differenti. Non per questo, quando c’è qualcuno che produce un synth che utilizza gli stessi concetti del Minimoog, subito andiamo a sentirlo. E siamo caduti immediatamente nell’acquisto di questo Behringer Poly D perché riprende l’ossatura del Minimoog e lo espande con un quarto oscillatore e con la facoltà di lavorare in parafonia a quattro voci che, per quanto possa sembrare limitato, ha un fascino incredibile per quello che si riesce a fare.
Hardware
Quando lo abbiamo scartato ed estratto, quasi non potevamo crederci: pesa tanto per essere così piccolo, è costruito benissimo in ogni particolare, con il pannello inclinabile in tre posizioni, e finalmente i potenziometri hanno la dimensione giusta. I 37 tasti hanno una lunghezza standard, con i tasti neri che riproducono anche l’angolatura dell’originale. La meccanica è migliore di molti altri synth in questa fascia di prezzo, quasi semipesata per la forza da applicare. Behringer Poly D è molto di più di una riproduzione del classico Minimoog, perché Behringer ha integrato anche una sezione di distorsione analogica, prima dell’uscita audio, il chorus analogico con due modelli e una sezione digitale per il sequencer e l’arpeggiatore, che possono essere programmati anche via software.
Le connessioni rivelano la natura flessibile del progetto: uscita cuffia anteriore e posteriore, due uscite Left Right su jack standard (il chorus è stereofonico), porta USB che funziona sia per il controllo software che come interfaccia MIDI In/Out class compliant, MIDI Out/In/Thru, due uscite indipendenti CV Out controllati da Velocity e Aftertouch con potenziometri per stabilirne l’intensità, uscite Pitch e V Trig, ingresso per segnale audio esterno portato al mixer, Sync In e Out, ingresso per V Trig e quattro ingressi per controllare Loudness, Filter, Oscillator e Modulation Source, quest’ultimo quando non usato abilita il generatore interno di rumore come sorgente di modulazione. Tutte le connessioni sono realizzate su jack standard a ¼". Sul pannello posteriore sono presenti anche 18 trimmer per l’intonazione degli oscillatori, il rumore, i filtri e il distorsore.
Il sintetizzatore
Basato sul Model D (vedi qui il test di Alessandro Cardinale), Behringer Poly D offre quattro oscillatori che possono essere utilizzati in modalità monofonica (come sul Mini). La novità sono le modalità Unison e Poly: la prima raggruppa i quattro oscillatori ma è possibile rubare uno o più oscillatori quando si suona una nuova nota. Poly invece utilizza un singolo oscillatore per ognuna delle quattro note. Essendo un synth parafonico, quindi con un unico filtro, ogni volta che si suona una nuova nota essa funziona da trigger anche su quelle che sono ancora premute e, pertanto, sono ripetute seguendo la ciclicità nel richiamo degli oscillatori e, in impostazioni, la priorità tra High Low e Last tra le note suonate.
La differenza tra Unison e Poly dipende solo dal numero di oscillatori usati per la nota: in Unison sono utilizzati tutti gli oscillatori disponibili in quel momento, in Poly sono invece a ogni nota corrisponde un oscillatore. Rimane il problema di come gestire la fase di decay. Behringer ha inserito anche il selettore Auto Damp, che interrompe il suono della nota indipendentemente dall’inviluppo quando si rilascia la nota su tastiera. Si può apprezzare quando si usa un Sustain lungo con Decay su On. La combinazione di Poly, Auto Damp e inviluppo sul filtro permette combinazioni inusuali nell’esecuzione che possono ispirare nuove idee.
Le due sorgenti di modulazione includono la selezione del quarto oscillatore o dell’inviluppo del filtro, e il generatore di rumore o l’LFO di cui si può scegliere il Rate fino a 200 Hz e la forma d’onda tra triangolare e quadra. Modulation Mix consente di selezionare l’intensità dei due gruppi da inviare come modulanti al cutoff del filtro, il quale ha una modalità Low Pass e Hi Pass, oltre ai due classici Keyboard Control e l’inviluppo ADS. E se volessimo controllare il filtro con velocity o aftertouch? Basta prelevare il segnale da Velocity o Aftertouch CV Out e collegarlo a Filter, e il gioco è fatto! I due potenziometri funziona esattamente come fossero un controllo di intensità per queste modulazioni. Allo stesso modo si può controllare dalla tastiera anche il VCA. E il Poly D è così diventato controllabile dalla velocity, fermo restando che nella modalità Unison e Poly il trigger della nota userà la stessa velocity per le note ancora suonate.
Parlando di inviluppi, il Behringer Poly D reagisce differentemente dal Minimoog, distanziandosi parecchio. Mentre sul Mini è un attimo creare un suono percussivo molto potente, sul Poly D la curva dell’inviluppo non è così percussiva come si vorrebbe e, in più, usando un tempo di attacco a zero si genera chiaramente un click, che magari darà una mano a creare più impatto ma non è quello che ci si aspetta. È sempre possibile creare bassi synth incisivi, ma bisogna usare moltissima attenzione nello spostamento, perché nella fase iniziale di attacco (la più importante) i valori utili hanno un range molto limitato. Una curva di risposta del potenziometro differente avrebbe aiutato molto di più e sarebbe stata più utile.
Gli effetti
Il distorsore analogico ha controlli di Distorsion, Tone (un filtro low pass), Level e switch On/Off. È un peccato che Level controlli di fatto il livello d’uscita generale e non il mix con il segnale originale. La sua utilità è massima quando si impiegano pochi oscillatori per voce. Con un singolo oscillatore, per esempio, si ottiene un ottimo livello di saturazione che porta ad aggiungere armoniche superiori senza distruggere il timbro. Tuttavia il distorsore è parecchio rumoroso quando si lavora con Distorsion oltre le ore 12. Viene comoda la modalità Unison che permette di creare degli accordi a due note che si esaltano bene con il distorsore. L’effetto è senz’altro utile. Lo stesso dicasi per il Chorus, che viene offerto in tre modalità che rendono il suono piacevolmente stereofonico ed organico. Sul Poly D in test, il chorus risultava attivabile indipendentemente dallo stato del suo interruttore.
Il sequencer e l’arpeggiatore
Basato su step e programmabile anche con Synth Tool, permette di creare otto pattern fino a 32 note, per ognuno degli otto banchi, da gestire anche da computer, con possibilità di inserimento delle singole note con valori indipendenti di Glide, Gate, accento e suddivisione dello step fino a quattro parti per creare anche accordi.
La programmazione da pannello è piuttosto confusa, anche a causa del manuale che non spiega bene le funzioni. Nel caso dell’arpeggiatore, è possibile scegliere otto modalità differente richiamate dai pulsanti Kybd e Step. La registrazione del pattern può essere eseguita in tempo reale, ma non mantiene la durata delle note, che va editata su computer. L’arpeggiatore è monofonico.
In prova
Si fa molto presto a innamorarsi di Poly D, non appena si vede la qualità costruttiva. I colori degli interruttori non sono tra gli aspetti meglio riusciti (soprattutto il verde e l’azzurro non ci sono piaciuti), mentre la tastiera è molto convincente come anche i controlli. Gli oscillatori sono quelli che ci aspettiamo da un Minimoog, sebbene l’originale dimostri di avere una maggiore quantità di armoniche e più corpo sulle basse frequenze, e sono comunque un esempio di analogico molto musicale. La loro intonazione non è però molto performante: ogni ora circa abbiamo aggiustato l’intonazione. L’assenza di un oscillatore interno complica l’operazione, che si conclude in pochi passaggi spegnendo di volta in volta gli interruttori e modificando l’ottava di quello che si vuole intonare rispetto a quello di riferimento.
L’uso dell’ingresso del segnale audio, quando prelevato da una delle uscite principali di Poly D, contribuisce a ingigantire il timbro sulle prime ottave. Il filtro passa basso è quello che conosciamo da Minimoog ed è un piacere da usare, anche per la qualità della risonanza. Il filtro Hi Pass è altrettanto interessante per inserti nel mix sulle frequenze più alte. Il problema maggiore di Poly D sono gli inviluppi, con quel click presente a tempo zero di attacco sia sul filtro che sull’amplificatore. Da una parte, usando per esempio solo la risonanza, si possono creare suono molto percussivi e nuovi, ma dall’altra limita la creazione di alcuni suoni con attacco pulito e molto veloce. Con tutti gli oscillatori spenti, il click è facilmente evocato. Il secondo punto debole è la curva dei potenziometri che non è uguale all’originale, rendendo più difficile la creazione di suoni percussivi con una fase di attacco ben precisa.
Delle possibilità di Auto Damp e polifonia abbiamo già detto: è un punto molto forte di Poly D, che passa dall’essere un puro monofonico a un synth a quattro note che diventa fantastico per pad di ogni genere e tipo. Sentire i quattro oscillatori, che già di per sé sono eccellenti anche se usati singolarmente per ogni nota, creare un pad con un filtro come questo è qualcosa di nuovo, che sono i possessori di Memorymoog o, ancora meglio, Moog One hanno avuto il privilegio di ascoltare, ovviamente a pieno regime con gli oscillatori. Quelle quattro note di polifonia in modalità parafonica valgono tutto l’acquisto! Una critica però è da fare: la ciclicità del richiamo degli oscillatori è indipendente dall’attivazione dell’oscillatore. Suonando due note in Poly, disattivando i primi due oscillatori, non c’è suono perché Poly D assegna sempre gli oscillatori secondo la priorità di nota.
L’integrazione di distorsore e chorus permette di arrivare a un suono analogico pronto e finito per il mix, con una bella quantità di evoluzione armonica. Il sequencer e l’arpeggiatore si dimostrano utili tanto in studio quanto nel live, soprattutto per la scena EDM. Da non dimenticare le possibilità di rendere Poly D sensibile alla velocity e all’aftertouch, comprendendo anche l’interfaccia MIDI che, seppure basilare, permette una buona integrazione nel proprio setup. Ultimo aspetto riguarda l’impatto dinamico del timbro, che è inferiore rispetto al Minimoog. Se non avete mai suonato un Minimoog, non vi accorgerete della differenza.
Conclusioni
Non c’è che dire: Behringer ha trovato il modo di rendere più interessante un sintetizzatore monofonico basato su un progetto classico e più volte copiato, che può essere usato anche per creare pad a quattro note, pur con tutti i limiti della parafonia, cioè con un solo filtro e un solo VCA. Malgrado ci siano dei punti deboli, chiunque voglia avere un timbro potente, analogico e con un filtro, che da sempre è magico, trova in Behringer Poly D il sintetizzatore ideale. I punti deboli sono spazzati via dal prezzo. A chi invece conosce già il Mini, consigliamo l’acquisto del Poly D perché si rivelato molto flessibile nel suono, grazie ai quattro oscillatori e agli effetti, aprendo nuove strade. A noi è piaciuto moltissimo, anche con i suoi limiti che possono diventare pregi. Il timbro c’è tutto, la potenza e la flessibilità pure. Il prezzo, vista la costruzione e le caratteristiche, è imbattibile. Da avere nel setup!
Pro
Il suono del Minimoog a un prezzo incredibile
Qualità della tastiera
Aftertouch e velocity
Quattro oscillatori
Chorus analogico
Distorsore
Modalità Poly
Costruzione
Contro
Click a tempo zero sull’inviluppo
Intonazione poco stabile tra i quattro oscillatori
Assenza di oscillatore a 440 Hz interno
Info
Prezzo: Euro 769