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Test: Chandler Limited Curve Bender

Rapporto Qualità Prezzo8
Costruzione8.5
Suono10
Facilità d'uso9.5
9
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È curioso ricordare che dal '67 solo a Geoff Emerick, e solo per le session dei Beatles, fu concesso dal reparto tecnico della EMI di usarlo anche per il tracking, ovvero come outboard in registrazione e in missaggio. Emerick lo usò pesantemente, sostituendolo al Presence Box RS127, uno scatolino utilizzato all'epoca per dare presenza sulla medio-alte o aria intorno ai 10 kHz

Con l'arrivo delle serie transistorizzate, alla fine dei '60, il vecchio Curve Bender valvolare (che frattanto era stato affiancato dal modello stereofonico) fu riposto in un armadio, e sostituito con il più giovane modello TG12412, nuovo nella tecnologia ma identico nei controlli per renderlo più familiare ai fonici ormai avvezzi all'altro, che si fregiò del medesimo nomignolo. Il Curve Bender TG è ancora in uso negli studi Abbey Road come mix e master equalizer. Il Curve Bender di Chandler non si ispira al Curve Bender TG mastering EQ degli anni '70, ma ai filtri delle console TG12345.

Come si presenta

Curve Bender, a tre unità rack, sembra assemblato alla vecchia maniera, pesante e robusto, lamiera tosta e spessa, con un'oggettiva sensazione di solidità tutta vintage. L'alimentatore separato è robusto e pesante. Sono sempre contento quando trovo alimentatori esterni per almeno due motivi: c'è la possibilità di posizionarli lontano dalle linee audio, scongiurando eventuali pericoli di ronzii di tensione alternata, e il processore scalda molto meno, un gran vantaggio se stipato in un rack. La prima occhiata al pannello frontale è chiarificatrice: semplice da usare, qualsiasi fonico in erba saprebbe metterci le mani subito.

Curve Bender è un equalizzatore stereo. Ognuno dei due canali può contare su quattro bande parametriche peak/notch con possibilità di shelving solo sugli estremi banda, più un passa alto ed un passa basso. Termina il corredo un controllo di gain. I collegamenti In/Out nella parte posteriore sono a Cannon XLR bilanciato, cui va aggiunto il connettore per l'alimentatore esterno.

 

chandler limited curve bender eq analog hardware outboard

L'interfaccia di Curve Bender

Come nasce

Il Chandler Curve Bender nasce dal fortunato incontro tra Wade Goeke, progettista di Chandler, e Pete Cobbin, Senior Recording Engineer degli studi Abbey Road. Quest'ultimo ha preso parte a diverse opere discografiche postume dei Beatles, tra l'altro mixando i 6 dischi dell'Anthology, mixando la riedizione di Yellow Submarine, e la riedizione di Imagine di John Lennon. E' stato lui a chiedere a Wade di realizzare l'unità, basata rigorosamente sul progetto della console TG con gli stessi tagli in frequenza e le stesse pendenze di intervento, ma con qualche upgrade che ne espandesse le possibilità di utilizzo.

I due hanno lavorato gomito a gomito, fedeli al disegno originale, ma migliorando alcuni aspetti funzionali: le 9 frequenze preimpostate sui desk TG originali sono diventate 51, dove le nove originali sono di colore bianco e quelle aggiunte sono colorate in giallo, Fig. 5), e il gain sulla singola banda, originariamente limitato a +/-10 dB negli originali, arriva ora a +/-15dB con opzione di passi a ½ dB. Il cuore pulsante dello stadio di amplificazione è il nobile TG12345 MK1 amplifier, carrozzato con transistor al germanio e responsabile del tipico colore piacevolmente retrò. Questo circuito equipaggiava le prime serie di console TG: dalla MK4 venne sostituito con amplificatori al silicone, proprio in contemporanea alla registrazione di The Dark Side Of The Moon.

 

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Come si presenta togliendo il coperchio

I controlli

I quattro potenziometri a scatti di colore rosso permettono la selezione della frequenza e i quattro di colore grigio decidono l'intervento, a scatti di 1 dB alla volta e con lo zero in posizione classica a ore 12. Le bande sono divise in Bass (da 35 a 300 Hz), Presence 2 (medio-basse, con range da 300 Hz a 3,6 kHz), Presence 1 (medio-alte, da 800 Hz a 8,1 kHz) e Treble, che vanno da 3,6 a 20 kHz.

Le bande esterne Bass e Treble hanno un selettore che permette la scelta tra Peak/Notch o Shelving. Ogni banda ha un proprio switch a tre posizioni: il bypass della singola banda (in centro), la posizione 1x in basso e 1.5x in alto, questa con la serigrafia in giallo, poiché si tratta di una novità non presente negli originali TG. Si tratta di una delle modifiche richieste da Cobbin, ed è un moltiplicatore dell'intervento in deciBel di una volta e mezza.

Selezionando questa opzione ogni banda è capace di un gain di +/-15 dB (i vecchi 10 x 1,5), e con una campanatura più stretta. Il filtro diventa così più appuntito ed efficiente, e più preciso per i piccoli interventi di correzione. Ognuno dei due canali dispone inoltre di utili filtri Hi e Lo Pass (Fig. 9), e concludono la dotazione due pulsanti di Bypass/On (si illuminano di azzurro se l'Eq è attivo) e i due potenziometri, rossi a scatti di 1 dB con 0 centrale, che determinano l'output generale. Manca il tasto di Power On/Off, che è presente nell'alimentatore esterno capace di dar nutrimento a due apparecchi grazie alle due uscite, il cui led rosso rimane acceso per quasi tre minuti dopo aver staccato la corrente!

 

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Un dettaglio dell'elettronica interna all'equalizzatore

Tracking o mastering?

Questo dubbio affligge molti fonici e divide la categoria in due fazioni: è una macchina da mastering o un equalizzatore da recording/mixing? Chi sostiene che non vada bene per il mastering punta il dito sugli scatti da un dB (Chandler riporta l’opzione a ½ dB ma al momento non sembra essere stata realizzata) e lo shelving è presente solo negli estremi banda, una limitazione che potrebbe rivelarsi piuttosto grave in certi casi. Chi sostiene che non sia adatto alla registrazione e al mix si rivolge alla mancanza di regolazione del fattore di merito dei filtri, la cosiddetta campanatura, che essendo fissa non permette correzioni precise. Ma su una cosa sono tutti d'accordo: il suono che esce piace a tutti.

Il suono

Ho avuto la fortuna di tenerlo montato in regia un po' di tempo, usandolo durante diverse fasi di diverse produzioni, sia in registrazione che in missaggio, e infine in mastering. Il suono è quello che mi aspetto da una macchina di tal nobile lignaggio e che vanta un passato tanto glorioso. Potrei chiudere il discorso in sei parole, The Dark Side Of The Moon, ma mi fa piacere sintetizzare le mie (del tutto soggettive) impressioni.

Le parole chiave sono presenza e aria. Premetto che non l'ho mai usato come equalizzatore correttivo (ho altri ottimi filtri in studio), ma piuttosto come un effetto che creasse la differenza, facendone un uso attivo, per aggiungere magia, e non per togliere.

La prima impressione è stata forse la più sconvolgente. Appena arrivato l’ho subito insertato in ripresa sulla bella voce di Matthieu Borè; un minimo intervento nell'ordine di 1 o 2 dB su medie e alte è bastato per far balzare la voce fuori dal mix e per darle una piacevolezza sulle armoniche che ha stupito anche lo stesso cantante. Stessa prova con il clarinetto, stessa goduria. L’ho utilizzato in ripresa anche per pianoforte grancoda, sax, flauto e contrabbasso: ciò che appare sempre ben evidente è quanto il suono migliori e guadagni in pienezza e dettaglio pur con interventi minimi.

Mai usati in ripresa più di 3 dB! In mix l'antifona non cambia, essendo il nostro capace di dare tono e personalità anche a un suono un po' più moscio. Caldo e potentissimo sulle frequenze basse (eccezionale il risultato intorno ai 90 Hz su un basso Precision ripreso da un vecchio Fender Bassman), presente e molto dettagliato nel range medio (voci e chitarre acquistano quella grana pastosa con guadagno in intelligibilità), aperto e morbido in alto, senza essere mai fastidiosamente frizzante. È proprio difficile anche esagerando produrre suoni fastidiosi: suona sempre pulito e, in un modo o in un altro, bello. L'impressione non cambia in fase di mastering. Applicato su un programma stereo porta tutto più avanti, rendendo l'insieme più definito e aperto.

Particolarmente efficace soprattutto su mix tutti digitali: la pasta analogica di gran classe rende il suono più rotondo, dandogli quella vita in più che spesso manca. Ho notato che più il mix è scadente su determinate zone dello spettro, più l'operazione di analogicizzazione del suono dà risultati miracolosi, sempre con interventi modesti. Addirittura c'è chi, non avendo bisogno di intervenire sulle frequenze, ci fa solo passare dentro il segnale; ho scoperto che i tastoni blu mettono sì l'equalizzatore in bypass, ma non gli stadi di amplificazione al germanio che, comandati dai due pot Output si fanno sentire eccome!

 

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Le connessioni poste sul retro dell'outboard

Full Analog Synth Eq

I sintetizzatori analogici sono un ottimo campo di sperimentazione per stressare un equalizzatore analogico; essi sono infatti gli unici strumenti capaci di generare una tale quantità di armoniche da mettere (eventualmente) in crisi un processore audio!

Ci siamo avvalsi di Elka Synthex e di un Moog Prodigy. Il Synthex è stato utilizzato per la generazione dei suoni di batteria elettronica. Per realizzarli è necessario avere un generatore di rumore (assente nel Prodigy) e filtri che non siano solo il LowPass, l'unico presente nel piccolo Moog. Il Synthex dispone di Pink e White Noise Generator e di 4 diversi filtri. Oltre al normale passa-basso a 24 dB, offre due passa banda con campane diverse e un passa alto, tutti risonanti. Per un drum set sintetico che si rispetti sono tutti accessori importanti: come fare un suono altissimo tipo Hi-Hat senza passa alto? O un rullantino senza passa banda risonante?

Il Prodigy è stato usato per tutto il resto: basso, melodie, riff, effetti. Trattandosi di un sintetizzatore monofonico, ho dovuto effettuare diversi overdub per ottenere la polifonia e la politimbricità;  le parti sono state tutte suonate a mano, non essendo il synth dotato di alcuna interfaccia MIDI. Anzi è stato suonato a due mani, poiché su un monofonico una mano va sulla tastiera ed una sul pannello dei comandi.

Prodigy è dotato di due oscillatori con forme d'onda a dente di sega, rettangolari, quadre e triangolari, e di un ottimo filtro Moog, l'elemento che più lo caratterizza promuovendolo alla classe superiore. A differenza del più importante Minimoog, esso ha la possibilità di sincronizzare il ciclo degli oscillatori (il famoso sync); effetto che è stato usato in questa demo per muovere un po' le denti di sega alla nota bassa intorno ai 48 sec.

Se eccellenti sono i risultati di Curve Bender sugli strumenti reali, come si comporterà l’equalizzatore sulla musica elettronica? Certamente avrei fatto prima ad usare dei virtual instrument, ma volendo testare il comportamento dell'equalizzatore sulle armoniche soprattutto in alto, niente di meglio di sintetizzatori analogici veri, che non soffrono dei tagli imposti dalla tecnologia digitale: energia elettrica pura.

Ho assemblato un breve brano cercando di fare in modo che gli strumenti occupassero il maggior spazio possibile all'interno dello spettro. Il Synthex va dalle altissime del suono tipo Hi-Hat alle basse profonde del suono tipo cassa e il Prodigy spazia dai suoni più grossi e scuri ai più brillanti. Ho anche inserito un riff di denti di sega pure, non filtrate dal passa basso, e quindi naturalmente (elettronicamente) ricche di armoniche.

Il mix è stato effettuato rigorosamente in analogico sul mio banco Cadac di StudioLab Recording, e nessun filtro è stato usato durante il missaggio. Il risultato del mix è il file Moog Chandler.wav, versione dry senza interventi, mentre quello trattato con Curve Bender si chiama Moog Chandler.wav.

Gli interventi sono stati i seguenti, niente di eccessivo:

  • 70Hz   +2dB
  • 1.8 kHz    +1dB
  • 16 kHz   +3dB Hi – Shelv

La prova è stata superata a pieni voti: le armoniche più alte sono portate in evidenza in modo naturale e molto credibile; la presenza dell'insieme migliora e le basse frequenze guadagnano quella bella pancia molto tonda e calda senza diventare eccessivamente invadenti.

Conclusioni

Giudizio completamente positivo. Curve Bender è un vero hardware di razza, come si sapevano fare una volta; capace di regalare sicure emozioni a chi cerca un suono piacevolmente colorato, caldo, morbido e arioso, in una parola bello. Alcuni aspetti sono rimasti aderenti al progetto di 40 anni fa e potrebbero essere migliori, mi riferisco soprattutto agli scatti da 1 dB. È anche vero che il comportamento a scatti è una soluzione tecnicamente migliore rispetto al potenziometro continuo, trattandosi di una serie di interruttori On/Off.

La scelta dei tagli, benché aumentati rispetto al progetto originale, ogni tanto fa sì che manchi proprio quella frequenza in mezzo ai due scatti. Aggiungo anche qualche leggero scricchiolino qua e là che si è fatto notare; niente di grave, certamente, ma è un particolare che si nota subito trattandosi di un apparecchio nuovo. Di fronte alla grandiosa sonorità del Curve Bender, tutti questi sono peccati veniali si dimenticano subito e si fanno perdonare. È il risultato quello che conta, e Curve Bender è uno dei pochissimi equalizzatori che hanno la musica nel sangue.

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