Il clipper non ha un tempo e un tempo di rilascio, perché è istantaneo e si attiva in tempo reale quando un segnale supera una soglia, tagliando tutto quanto c’è sopra quella soglia. Sul modo di intervenire sopra la soglia ci sono tecnologie differenti, perché l’effetto collaterale è ampliare la banda del segnale che vede inserita distorsione armonica e di intermodulazione, essendo il clipper una modulazione non lineare. La distorsione di intermodulazione può essere così importante da richiedere dei filtri sopra i 20 kHz e sotto i 20 Hz per tagliare le armoniche aggiuntive. Per tenere sotto controllo questa distorsione, che può a sua volta creare nuovi picchi sommandosi al segnale originale, sono stati realizzati diversi circuiti analogici e poi algoritmi digitali per compensare il problema, rendendo sempre migliori i risultati del clipper, tanto da renderlo quasi inudibile quando interviene per pochi dB al di sopra della soglia, ma con evidenti risultati sulla dinamica e l’apparente equalizzazione.
Il taglio del clipper può essere crudo, con una curva cosiddetta Hard, o più dolce, Soft. La differenza tra le due curve è che Hard produce molta più distorsione e assicura che il segnale non sfori il livello massimo. Soft, al contrario, elimina gli spike proporzionalmente al livello e quindi segue il comportamento del segnale originale, con un timbro meno distorto.
La storia radiofonica
La trasmissione analogica radio e televisiva del secolo scorso aveva dei limiti intrinseci sia per la potenza di trasmissione, il cui segnale all’ingresso non poteva superare una certa soglia per evitare di danneggiare i trasmettitori, sia per motivi legislativi che limitavano la potenza di trasmissione per ragioni di sicurezza. A complicare le cose è sempre stata la pre-enfasi (fino a +17 dB a 15 kHz negli USA con pre-enfasi a 75 µs, in Europa era a 50 µs), cioè un circuito a monte che incrementa di molti dB le alte frequenze, così da assicurarsi, in ricezione con un circuito di de-enfasi, un ascolto ancora ricco di dettagli sulle alte frequenze e minore rumore. Le alte frequenze, in generale, hanno sempre un livello più basso delle medie e basse frequenze, che spesso si sovrappone al rumore di base. Incrementando il livello, le alte frequenze si allontanano dal rumore e possono essere riprodotte, con il circuito di de-enfasi, più correttamente. La pre-enfasi è sempre stata un problema per i processori dinamici, perché genera molta distorsione armonica e di intermodulazione sulle alte frequenze.
Il clipper nasce come evoluzione dei primi limiter a valvole, che non erano in grado di gestire anche gli spike improvvisi, più brevi dei transienti. Già negli anni ’60 comparvero i primi clipper analogici, posti dopo il limiter, per gestire qualsiasi picco istantaneo che non fosse trattato dal limiter, per passare al primo limiter a tre bande (Dorrough DAP 310), nel 1973, che applicava, in uscita, un clipper con una curva di trasferimento molto dolce (soft). Il DAP fu usato immediatamente anche come equalizzatore dinamico con grande successo, perché ogni banda aveva dei tempi e un rapporto di compressione differente, con alcune caratteristiche molto particolari come l’uso di rumore rosa per gestire il livello dei tre limiter nella somma. La versione successiva fu il DAP 610, stereo, che introdusse anche il famigerato loudness monitor che conosciamo ancora oggi. Stiamo parlando di 50 anni fa, considerando che i plug-in di equalizzazione dinamica sono apparsi solo in questi ultimi anni…
Il clipper continuò la sua scalata con il primo Orban Optimod-FM, un vero processore audio completo, permettendo una maggiore modulazione del segnale, cioè un incremento del livello di loudness e una riduzione del rapporto tra picco e segnale. Intanto i problemi di distorsione del clipper erano sempre più presenti, in forma di distorsione, e lo stesso Orban brevettò due sistemi per tentare di ridurre questa distorsione poco piacevole. Il passo successivo, alla fine degli anni ’70, fu la creazione di clipper compositi, da piazzare appena prima del trasmettitore, che aumentarono decisamente il livello di loudness ma con un segnale ancora più distorto, che agiva anche sul tono pilota di 19 kHz con effetti devastanti sulla ricezione stereo, che era a sua volta modulata e passava in continuazione da stereo a mono. Quando l’FCC si accorse del problema, impose una norma chiara per evitare di distorcere anche il tono pilota.
La svolta arrivò con Modulation Science e il suo clipper composito CP 803, che separava il segnale pilota da aggiungere solo alla fine del processo di clipping, che diventò subito un must per incrementare il livello di loudness radiofonico e, soprattutto, rispettava le normative dell’epoca. Scoppiò definitivamente la guerra del loudness nelle radio americane ma non solo. Tutto questo, assieme agli altri processori, portò a definire quello che possiamo chiamare suono radiofonico, cioè quell’ascolto, destinato a scomparire con lo streaming e il DAB, che era caratterizzato da una dinamica ridotta ma ad alto impatto, con riverberi e ambienti che venivano esaltati dai compressori e limiter multibanda, da una equalizzazione dinamica e, soprattutto, da una certa quantità di distorsione armonica che esaltava il timbro generale, la percezione delle alte frequenze e della voce, cosa che oggi tutti cercano in mix.
Il clipper, con la sua funzione di taglio dei picchi in tempo reale, è stato adottato anche come circuito in alcuni convertitori molto prestigiosi
La storia della registrazione
Il clipper, con la sua funzione di taglio dei picchi in tempo reale, è stato adottato anche come circuito in alcuni convertitori molto prestigiosi, con lo scopo di prevenire appunto il clipping del convertitore A/D e intercettare qualsiasi picco di brevissima durata. Esistono diversi modi di interpretare il clipper nei convertitori. Tra i più noti c’è il convertitore Lavry AD122-96 con due curve differenti di clipper digitale, chiamate Soft Saturation, a + 3 e + 6 dB per emulare idealmente la saturazione dei registratori a nastro. In questo caso il segnale digitale, già convertito dall’A/D, è amplificato di + 3 e + 6 dB prima di essere inviato all’algoritmo di clipper digitale, con una funzione di trasferimento precisa con una curva dolce.
Il secondo produttore di convertitori noto per la funzione di soft clipper è sicuramente Apogee, che lo introdusse in versione analogica nel convertitore A/D del 1992 con l’AD-500 (guarda caso disegnato dallo stesso Dan Lavry prima che fondasse la sua azienda di convertitori) e lo ha reso un marchio di fabbrica in tutti i suoi eccellenti convertitori in fase di registrazione. Ovviamente ci sono altri convertitori che includono un clipper, come gli Over-Killer di Prism Sound che sono venduti anche come componenti analogici da inserire prima di qualsiasi convertitore.
La questione del clipping e del LED relativo è stata affrontata da Dangerous Music con Converter AD+, che permette di saturare il circuito analogico e il convertitore evitando, però, di attivare il led rosso di clipping derivato dallo stadio di oversampling, per motivi di mastering finale per il digital upload. Il file audio è clippato, ma non comparirà in riproduzione il led rosso del clip controllato dal circuito di oversampling. Mentre questa è una funzione puramente digitale, l’uso di un trasformatore in ingresso è la chiave per saturare l’ingresso A/D e ottenere sia un effetto di compressione che di equalizzazione sulle basse e alte frequenze, ma non nel senso del clipper.
L’idea di Dangerous di inserire un paio di trasformatori in ingresso non è però nuova. Il primo convertitore di successo, ancora in produzione, è stato Burl B2 Bomber ADC, con circuiti in Classe A, con la possibilità di modificare con un attenuatore il livello d’ingresso al convertitore, posto dopo il trasformatore, così da saturare a piacere il trasformatore e ottenere un effetto di saturazione da nastro, ma senza clipping.
Infine c’è la tecnica di usare gli stessi ingressi del convertitore come clipper, collegando l’uscita audio del convertitore al suo ingresso: poiché i circuiti analogici in ingresso hanno un limite preciso che si sposa generalmente con la conversione, spingendo un segnale di qualche dB oltre la soglia dello 0 dBFS si può ottenere un effetto simil-clipper che distorce il segnale a un livello più alto, tecnica usata da alcuni fonici in mastering ai tempi della guerra del loudness. Tuttavia quest’ultima pratica è direttamente dipendente dalla qualità della sezione analogica e del convertitore, dal livello d’ingresso del convertitore e dalla struttura del gain analogica, e può produrre anche un pessimo segnale digitalmente distorto che può essere inaccettabile.
Il clipper in catena
A differenza del passato, oggi il clipper si può usare in mix, per ottenere distorsione armonica e controllare una parte della dinamica, e in mastering con il suo scopo finale. La posizione in catena è quindi molto differente.
In mix l’obiettivo del clipper non è il pieno controllo della dinamica, ma piuttosto colorare il suono. Per come lavora un clipper, la distorsione di intermodulazione tende ad avere un peso maggiore sulle medio alte frequenze, rispetto a quelle inferiori. La prima conseguenza è che il clipper si adatta molto bene ai rullanti e a qualsiasi strumento ricco di medio alte, come i piatti. Eccedere nell’uso in mix significa però distorcere troppo e schiacciare il suono. Per questa ragione in mix diventa utile anticipare un compressore, con tempi di attacco non immediati così da lasciar lavorare il clipper solo sui transienti più veloci, ed eventualmente un equalizzatore per dosare a monte la quantità di medie, che saranno sottoposte alla distorsione.
L’associazione tra compressore e clipper permette un controllo particolare della dinamica, con una traccia che tenderà a essere molto controllata in dinamica a causa del clipper. Dietro al clipper si può pensare di nuovo a un equalizzatore, controllando soprattutto con un analizzatore se sono state aggiunte delle frequenze subsoniche o se le altissime frequenze sono eccessive. Riverberi e delay sono sempre successivi al clipper e risulteranno ben controllati in dinamica. In fase di mix sarà opportuno automatizzare l’ingresso del clipper per evitare eccessive distorsioni nei passaggi più intensi.
In mastering, il clipper di solito si inserisce prima del limiter finale, perché permette di tagliare i picchi lasciando al limiter il controllo finale sul livello di loudness. Anche qui occorre bilanciare il lavoro del clipper per non renderlo troppo intrusivo o, al contrario, molto presente per certi generi musicali.
L’uso di un trasformatore in ingresso è la chiave per saturare l’ingresso A/D e ottenere sia un effetto di compressione che di equalizzazione sulle basse e alte frequenze
Conclusioni
Alla ricerca di qualsiasi sistema che introduca distorsione armonica e nel contempo permetta si innalzare il loudness percepito, per vincere la guerra dei primi anni 2000, i più avventurosi fonici hanno provato di tutto. L’uso del clipper, derivato dal broadcast, è stata una prima arma. C’è da dire che il mondo del broadcast è avanti anni luce nella gestione del clipper rispetto al mondo del mix e del mastering: da anni esistono clipper multibanda che comprendono soluzioni per ridurre al minimo la distorsione e migliorare la percezione del loudness.
Come nell’arte, anche l’uso del clipper non ha una regola precisa, ricordando però che riduce la dinamica e introduce distorsione. Posto che difficilmente sarà usato i contesti di musica classica, acustica o nel jazz, il clipper può essere utile per chi cerca ulteriore distorsione o un maggior impatto della traccia.
Come sempre dipende da cosa si vuole ottenere e per quale genere musicale si sta lavorando.