Sono sempre di più gli engineer italiani che troviamo in tante produzioni di successo internazionale. È il caso anche di Freedom Child, ultimo disco di The Script tra i cui recording engineer spicca il fiero bolognese Filippo Barbieri
Nei pochi weekend di ferie dal suo lavoro, Filippo Barbieri viene a Bologna, sua città natale dove vivono famiglia e amici d'infanzia. Quale luogo migliore per una chiacchierata all'ombra delle imperiose due torri? In questo pomeriggio soleggiato, Filippo ci ha raccontato la sua esperienza lavorativa e di vita attraverso due capitali della produzione musicale come Milano e Londra, senza dimenticare i primi approcci alla musica avvenuti proprio nel capoluogo emiliano.
Giacomo Dalla: Bologna - Londra passando per Milano; tre città che rappresentano la tua storia e la tua carriera finora. Raccontaci questi due grandi passi
Filippo Barbieri: La grande passione per la musica nacque a Bologna (la mia città natale) come DJ: il mio primo avvicinamento a livello professionale è stato, se si vuole, meno convenzionale rispetto ad altri colleghi, i quali iniziarono a suonare uno strumento fin da piccoli. Il lavoro del DJ mi affascinava, ma arrivò il momento in cui iniziai a essere più curioso riguardo a come veniva creata la musica. Per questo motivo iniziai a informarmi con amici del settore riguardo a scuole di produzione musicale e venni a conoscenza del SAE Institute di Milano, dove, dopo aver partecipato all'open day per avere un'idea di cosa sarei andato incontro, mi iscrissi per perseguire la Bachelor of Arts in Audio Production. Il programma di laurea era molto intenso e spalmato su due anni invece che i convenzionali tre. Dopo aver terminato il primo anno di studi ci fu una pausa di 3-4 mesi nei quali optai per un'esperienza all'estero, nello specifico a Londra, per perfezionare il mio inglese. Arrivato a Londra trovai lavoro come commesso in un negozio di articoli sportivi; nel mentre però, parte di me era sempre concentrata sullo studio e sul fatto che dopo questi pochi mesi sarei dovuto tornare a Milano per ricominciare il mio cammino. Tuttavia, un giorno mia madre mi fece notare che, caso voleva, la sede di Londra del SAE Institute era molto vicino a casa mia; andai a fare una visita per vedere com'era il college londinese e fu amore a prima vista pensando alle possibilità future. Così, con l'aiuto dei miei genitori, decisi di continuare il mio corso di studi al SAE di Londra. A oggi penso sia stata una scelta determinante per il prosieguo del mio percorso professionale!
GD: Come mai la scelta di trasferirti proprio a Londra? Torneresti indietro?
FB: La scelta ricadde su Londra quando percepii una certa differenza, rispetto a Milano, in termini di opportunità nel campo della musica (sebbene fosse e sia tuttora difficile). So che alcuni fanno fatica ad inserirsi in ambienti non familiari, soprattutto all'estero, ma io fin da subito, anche per via della mia personalità, mi trovai subito bene oltre Manica e tuttora sono felice di aver fatto questa scelta trovando la mia dimensione all'interno di questa grande metropoli. Tornare indietro? Mai dire mai... sicuramente se tornassi indietro lo farei dopo aver provato a perseguire in ogni modo gli obbiettivi che mi sono prefissato.
GD: dopo aver conseguito la Bachelor al SAE Institute sei rimasto nella capitale britannica, di cosa ti occupi oggi?
FB: Dopo la laurea rimasi a Londra e iniziai a cercare una internship in uno studio di registrazione. Dividendo i miei sforzi tra email e CV porta a porta nei vari studi, dopo qualche mese trovai un'offerta di lavoro ai Westpoint Studios come assistant engineer. All'inizio il solo rimborso spese dallo studio mi costrinse a lavorare anche altrove part-time nei weekend, ma considerando il valore dello studio in cui avevo la possibilità di lavorare, mi sacrificai per la causa. Ai Westpoint Studios stetti per due anni nei quali imparai tanto per poi arrivare alla condizione attuale di freelance producer/engineer. Oggi mi occupo di produzioni musicali a tutto tondo gestendo sia l'aspetto tecnico che quello artistico. Ho scoperto di avere un buon feeling con la fase di scrittura e produzione, mi piace lavorare con artisti solisti rivestendo la figura del produttore moderno occupandomi di arrangiamenti, produzione e scrittura della canzone con l'artista, ma anche lavorare con band ricoprendo la figura del produttore più tradizionale vedendo me stesso come collante fra tutti gli elementi della band con l'obiettivo di ottenere il meglio da ognuno di loro. Ultimamente poi, mi sono avvicinato allo studio del basso elettrico e sto affinando le mie conoscenze sul pianoforte, il detto è sempre valido: non si finisce mai di imparare! Chiaramente tutto ciò va di pari passo con l'aspetto tecnico artistico di mixing, fase che mi piace definire come una vera e propria arte! Lavorando parecchio come mastering engineer, mi sto appassionando nel vedere come si possa andare a fondo nel dettaglio sonoro anche solamente partendo da uno stereo mix. Personalmente trovo stimolante variare genere quando faccio mixing e mastering, Infatti, ogni volta questo mi dà la possibilità di mettermi alla prova con nuove tecniche e sonorità.
GD: Diversi studi di registrazione storici un po' in tutto il mondo hanno chiuso i battenti di recente, com'è la situazione attuale a Londra?
FB: Purtroppo lo scenario non è dei migliori, ma non credo ci sia da preoccuparsi perché in ogni campo ci sono evoluzioni di ogni tipo e secondo il mio parere il motivo per cui i grossi studi facciano fatica è dato dal fatto che la tecnologia odierna da la possibilità di fare moltissimo con un setup molto minimale composto da portatile, scheda audio e qualche microfono. Ciò significa che l'accesso alla produzione musicale è molto più ampio e chiunque, anche con un piccolo budget, può creare dischi di alto livello. Tuttavia questa è un'arma a doppio taglio poiché, bene o male, chiunque può essere creativo e creare musica, ma molte volte a causa della scarsa preparazione la qualità del prodotto risulta scadente. Probabilmente alcuni sono convinti di non aver bisogno di studi e professionisti, ma al contrario potrebbero beneficiare molto dal lavorare con professionisti guadagnandoci tempo ed esperienza. Penso che al giorno d'oggi più che mai collaborare nel fare musica sia fondamentale!
GD: Quali sono le difficoltà per un giovane sound engineer in cerca di lavoro nella capitale britannica? L'essere italiano può influire?
FB: Le difficoltà ci sono, però con determinazione e molta pazienza penso che si possa raggiungere qualsiasi obiettivo! La cosa che probabilmente è più trascurata e che a mio parere sarebbe la prima da affrontare, è sicuramente una solida preparazione della lingua; frequentare l'università a Londra è sicuramente un altro vantaggio non da poco, perché fin da subito si possono costruire contatti ed entrare all'interno del mondo professionistico. Indipendentemente dal campo audio video in cui si voglia lavorare, Londra offre tantissimo e in maniera meritocratica, se si dimostra preparazione e dedizione al lavoro si possono trovare delle possibilità! Noi italiani nel campo lavorativo siamo ben visti e lo sto sperimentando direttamente sulla mia pelle.
GD: Hai lavorato al fianco di grandi nomi della discografia internazionale (Adele, Pharrell Williams) cosa ti hanno lasciato queste esperienze? Qualche ricordo o situazione particolare che ci vuoi raccontare?
FB: Mi sento molto fortunato ad aver lavorato con artisti di questo calibro e osservando ognuno di loro ho potuto imparare tanto. Sicuramente sessioni di questo tipo ti permettono di imparare tutto ciò che non viene insegnato in nessuna università, per così veramente entrare nel mondo della produzione musicale con il giusto atteggiamento mentale. Infatti, non considerando tutti gli aspetti tecnici che si imparano osservando, a mio parere l'importanza di queste sessioni risiede nel capire il comportamento da tenere in studio e se la propria personalità è adatta per ricoprire il ruolo di producer, fonico, assistente. Ricordo quando Skepta e Pharrel Williams vennero ai Westpoint Studios per registrare una puntata di Beats Radio Show e lavorare su una traccia per l'ultimo album di Skepta Konnichiwa: mentre stavo finendo il setup in control room non avevo fatto caso a quello che stava succedendo nella live room e quando aprii la porta trovai una foresta di piante davanti a me con una live room completamente trasformata per filmare la puntata dello show! Fu molto divertente perché sembrò quasi uno scherzo dalla velocità in cui tutto l'allestimento era stato montato! La potenza di artisti di questo calibro a livello organizzativo è davvero incredibile. Mi fece anche molto effetto quando vidi e sentii Adele registrare delle doppie voci per una traccia del suo ultimo album con uno Shure SM58; quei momenti ti fanno veramente capire come la cantante o il musicista contino più di qualsiasi espediente tecnico. È un po' come cucinare: se la materia prima è di estrema qualità, c'è veramente poco da fare per rendere qualsiasi cosa eccezionale.
GD: Nel tuo curriculum spicca il disco Freedom Child dei The Script, uscito lo scorso autunno sotto Sony Music; come è avvenuto l'incontro con la band e il produttore? Qual è stato il tuo compito nel processo di produzione del disco?
FB: Questa è stata sicuramente l'esperienza più bella vissuta finora e che sta portando sempre più soddisfazioni nella mia carriera lavorativa! L'incontro con la band avvenne ai Westpoint Studios dove i The Script sarebbero stati impegnati per una settimana di registrazioni. Fin da subito ci fu un bel feeling e quella settimana fu molto positiva. Quando poi decisi di lasciare i Westpoint Studios, contattai il produttore (Jimbo Barry) esprimendo il mio desiderio di voler lavorare ancora con loro. Mi misi quindi d'accordo con Jimbo per fare una sessione e da lì, in maniera naturale, ce ne furono sempre di più permettendomi di diventare una presenza costante nelle sessioni di registrazione del disco. Ho avuto diversi ruoli per questa produzione e penso che questo elemento sia stata la chiave vincente; infatti essendo abile a fare tutto quello che veniva richiesto (dal registrare, missare demo, organizzare sessioni, traslocare studio scablando e ricablando tutto per ben due volte e tanti altri piccoli compiti) con la mia disponibilità ho potuto rendermi indispensabile.
GD: Quale setup hai avuto a disposizione per le registrazioni?
FB: L'80% del disco è stato scritto e prodotto ai Metropolis Studios a Londra. Il restante 20% è stato suddiviso in varie collaborazioni con produttori situati principalmente negli USA. Come base principale la band ha sempre avuto uno studio. All'inizio del disco la base era a Ealing (quartiere a ovest di Londra) in un complesso di studi per poi successivamente spostarsi in una delle tante production room ai Metropolis Studios. Questo trasloco si rivelò molto comodo quando venne il momento di registrare la batteria una volta che le demo erano finite. Infatti, ci siamo spesso divisi fra la production room e Studio B. Il cuore pulsante del setup nella production room è stato sicuramente la consolle API 1608 a 16 canali. Mi sono sempre piaciuti gli eq e i preamplificatori API e poterci lavorare tutti i giorni è stato un vero piacere! Per quanto riguarda la catena della voce ho utilizzato come preamplificatore un Neve 1073 e come compressore un Empirical Labs Distressor. Personalmente non ho mai condiviso appieno la scelta del microfono per la voce principale, ricaduta su un sE Electronics Gemini II: non credevo fosse quello più giusto per risaltare la voce di Danny, ma essendo lui stato abituato a usare questo modello di microfono, ho preferito non cambiarlo e avere un cantante sicuro di sé e fiducioso, piuttosto che utilizzare un microfono tecnicamente migliore avendo una performance non convincente. La performance, infatti, rimane sempre la cosa più importante e a mio parere il lavoro di un engineer è anche questo: capire come ottenere la migliore performance dal musicista o cantante rendendolo il più possibile a proprio agio. A livello di computer, per poter essere sempre in grado di avere tutto il necessario fuori e dentro allo studio, abbiamo diviso l'album tra due macchine: un Mac Pro 5.1 e un MacBook Pro. Per quanto riguarda le DAW utilizzate sono state principalmente tre: Ableton Live, Apple Logic X e Avid Pro Tools 12. Ableton è molto veloce e intuitivo a livello creativo e questo è il motivo per cui l'abbiamo utilizzato, principalmente in pre-produzione; le sessione di produzione invece sono state effettuate su Logic X anche per un fattore di compatibilità con altri produttori nel caso in cui si fossero inseriti per eventuale aggiunte. Pro Tools invece è stato utilizzato per tutta la fase di registrazione e arrivare così già pronti per il mix. Come interfacce audio si sono intercambiate, a seconda dello studio in cui eravamo, Apogee Symphony, Prism Sound ADA-8XR e Universal Audio Apollo 8p. Infine, come monitor, un paio di Yamaha NS10 e un paio di Focal SM9: un'accoppiata fenomenale per una percezione dettagliata delle medie e basse frequenze.
GD: Oltre alla voce di che cosa ti sei occupato in registrazione? Con quali microfoni e perché proprio quelli? Se hai registrato anche batterie, con quale tecnica?
FB: Le batterie sono state tutte registrate ai Metropolis Studios in Studio B. Questo è avvenuto in collaborazione con altri due fonici in diverse occasioni, Josh Blair e Dan Frampton. La batteria era una DW e i microfoni usati durante le registrazioni sono stati diversi andando dal Neumann U47 FET come cassa fuori ai Coles 4038 in configurazione Blumlein per la stanza. Un microfono che utilizzo sempre quando registro batterie e che mi da grande ricchezza nel dettaglio delle alte frequenze è il Black 212 di 12 Gauge Microphone, il quale all'interno monta due capsule in configurazione X/Y che permettono di avere una accurata immagine stereo usandolo di fronte alla batteria. In termini di preamp sono stati utilizzati Neve 1081 vintage e API 3124. Basso, chitarre, tastiere e voci invece sono stati registrati nella production room. Il basso che si sente nel disco è un Fender Precision amplificato con testata Aguilar DB 751 e cabinet Aguilar GS 410 microfonato con un Sennheiser MD421 per la definizione della nota, mentre per la ripresa delle basse frequenze ho utilizzato un Telefunken U47, tutto questo in congiunzione con una REDDI D.I. per avere anche il suono pulito della D.I. Come preamp ho utilizzato il banco API 1608 e come compressione ed eq rispettivamente Empirical Labs Distressor ed API 550A. Per quanto riguarda le chitarre, per la maggior parte delle tracce, è stato utilizzato un Kemper Profiler, molto creativo e versatile dati i tantissimi profili di effetti e modelli di amplificatori e testate che avevamo a disposizione. Per il piano invece ho sempre utilizzato una configurazione A-B con un paio di Neumann KM84 usando come pre ed eq il banco API 1608.
GD: Hai utilizzato plug-in e virtual instrument (synth, librerie di sample, librerie di campioni per batteria, drum machine etc...) in fase di registrazione?
FB: Non abbiamo utilizzato virtualizzazioni su DAW essendo tutto analogico e con strumentazione suonata. Tuttavia, in fase di produzione, sono stati utilizzati diversi software instrument, plug-in e librerie di suoni; una che mi piace molto per rinforzare il suono della batteria live è la That Sound, i sample suonano bene e in maniera molto naturale. Per quanto riguarda software instrument quelli che sono stati usati maggiormente sono stati la suite Komplete 10 di Native Instruments, quelli di serie di Ableton e varie librerie per Kontakt 5 tra cui Addictive Keys, tutte le librerie di Output e Spitfire Audio. In termini di plug-in, come prima scelta non ho dubbi: la suite di Fabfilter è molto versatile e trasparente quando non ricerco un suono caratteristico. Ho utilizzato anche molti plug-in di serie tra i quali c'è uno dei miei preferiti in assoluto per aggiungere armoniche e distorsione: il Lo-Fi di Pro Tools. Quando invece avevo bisogno di un suono più vintage e caratteristico le suite di UAD e Waves hanno fatto al caso mio essendo molto complete. Altri plug-in che non mancano mai nelle mie sessioni sono diversi prodotti di Soundtoys, Valhalla, Plugin Alliance e Sound Radix.
GD: Quali sono i tuoi progetti futuri?
FB: Beh è molto difficile prevedere il futuro! Sicuramente una cosa che farò a breve e che esula un po' dalla musica è ottenere la cittadinanza inglese cosa che avrei voluto fare a prescindere dall'esito del referendum sulla Brexit. Ritornando alla musica però, da poco ho preso in affitto uno studio insieme a un amico producer e stiamo costruendo un progetto nuovo: coniugando le nostre capacità tecniche e professionali, il nostro intento è quello di sviluppare artisti nuovi concentrandoci molto sulla produzione e la scrittura per poi finalizzare il tutto in house. Lo studio è composto da control room e live room utile sia per registrare che come spazio per scrivere ed ispirarsi. Al momento sto anche collaborando con una band molto giovane di Brighton e diversi autori e artisti solisti. In tutto ciò però, le sessioni con i The Script non si fermano; per di più al momento mi trovo in tour con la band nel ruolo di studio engineer on the road. Infatti, visto che i ragazzi vogliono iniziare a scrivere nuove idee nei tempi morti tra uno show e l'atro, ho allestito un setup mobile che ci permette di avere uno studio ovunque ci troviamo. In generale diciamo che cerco di tenermi sempre impegnato e aperto a nuovi progetti di qualsiasi genere da production a recording a mixing e mastering.