Gianni Bini ha vissuto tutta la transizione degli studi e della produzione: dai primi capionatori in studi con registratore a nastro, ai nostri anni di ibridi e nuovi strumenti. La sua visione, nel suo campo, è lucida e proiettata al futuro
Gianni, oltre ad avere un background importantissimo come DJ, è anche il proprietario degli Hog Studios, arrivati alla ribalta della cronaca per il disastro ferroviario del 29 giugno 2009, che oltre a provocare 33 morti distrusse completamente il suo studio e tutto il materiale. È l’occasione per fare il punto della situazione.
Luca Pilla Quando hai cominciato a lavorare nel mondo del professionismo? A quell’epoca qual era la tecnologia che più ti affascinava e come la utilizzavi?
Gianni Bini Ho cominciato nella seconda metà degli anni ‘80 seguendo quella che era la mia più grande passione dell’epoca: il mestiere del DJ. È stato fondamentale per me approcciarmi a questa attività perché mi ha dato, da subito, la possibilità di guadagnare i soldi che mi servirono per cominciare ad acquistare attrezzature per lo studio di registrazione, che fu da subito una delle mie priorità. Al tempo i DJ erano DJ e i produttori erano produttori, quasi nessuno era entrambe le cose con un buon successo... Io trovavo limitante dedicarmi a una cosa e tralasciare l’altra, e fu così che cominciai a bazzicare studi di registrazione non solo per produrre musica ma anche e soprattutto per capire come si lavorava in studio, e cosa c’era dietro un vinile che suonavo nei club. Mi affascinava ovviamente il mixer, l’elemento centrale di ogni studio dell’epoca e tanto era più grande tanto rimanevo lì a guardarlo, sognando un giorni di poter avere anche io un aggeggio del genere. Iniziai accontentandomi di un Tascam 20 canali, tra l’altro non mio ma prestato da un editore.
LP Hai vissuto l’epopea del MIDI e dei sequencer: cosa hai trovato di straordinario che ti abbia aiutato a lavorare e cosa invece bloccava la tua creatività?
GB Nel periodo nel quale frequentavo gli studi spendendo tutto quello che avevo per produrre musica si utilizzava il glorioso Akai MPC per le sequenze e un 24 piste per poi registrare le parti acustiche e i synth, in molti casi si registravano anche delle parti in presa diretta, stando attenti a non sbagliare. All’epoca da neofita mi intendevo poco di tutto questo, ma tutto diventò tutto molto più chiaro dopo l’acquisto di un Atari 1040st e di due Casio FZ 1, campionatori a 30.000 Hz (non 44.100) e credo 12 bit, con i quali cominciai a sperimentare con Cubase e il MIDI: era straordinario poter visualizzare le sequenze sotto forma di mattoncini su un monitor a 14”, ero elettrizzato al solo pensiero che potevo sbagliare e correggere con pochi colpi di mouse (già il mouse, che comparve nella mia vita a 17 anni e che non ho ancora abbandonato). Avevo un sacco di idee ma non avevo memoria sufficiente per gestire suoni e campionamenti per cui capii da quasi subito che avrei dovuto spendere tantissimi altri soldi per acquistare moduli sonori e sbloccare la mia creatività.
LP Quali sono gli strumenti di quell’epoca che hanno realmente segnato al tua storia e che credi abbiano gettato un seme per i prodotti di oggi?
GB Ho già citato l’Atari 1040st, che era il centro del mio se pur limitato workflow ma che comunque era
sufficiente per poter scrivere le mie sequenze principali. Ben presto lo affiancai a un nuovissimo e fiammante Akai S1000 con ben 16 secondi di campionamento mono ma a 44.100 Hz! Sapevo che Akai era leader nei campionatori software ma non sapevo all’epoca che ne avrei dovuti comprare tre ed espanderli al massimo possibile, cosa che feci qualche anno dopo. Avevo dato il via a quello che oggi è chiamato G.A.S. (Gears Accumulation Syndrome) del quale sono vittima da ormai 33 anni! Atari, campionatori e molti synth erano il punto di partenza possibile, ma il mixer (il mio sogno) era ancora inarrivabile. La location era ancora camera mia, le casse erano quelle del mio stereo, il mixer era quello che utilizzavo come DJ.
LP L’arrivo del digitale per l’audio a portata di tutti è stata una rivoluzione, come l’hai vissuta?
GB L’arrivo dell’era digitale mi ha cambiato la vita (e fatto conoscere la Apple) non tanto in termini di qualità che, soprattutto agli inizi era a mio parere in forte appannaggio del mondo analogico, ma soprattutto in termini di workflow. Utilizzavo tre ADAT al posto dei classico 24 piste a nastro: passare all’HD recording con annessa scheda audio da 12 canali della Korg (il modello 12/12) fece crollare in maniera drastica i tempi di produzione, il tutto a vantaggio della creatività e della cura della produzione in sé che beneficiava del maggior tempo a disposizione per poter gestire molti altri aspetti del mix e dell’arrangiamento in genere, con l’aggiunta di colori e di effettistica impensabili solo qualche anno prima. Cominciava in questo modo a ridursi il gap, che nel 1995 era sempre tantissimo tra studio hi end e home studio HD based. Capii da lì che il mio modo di fare musica tecnicamente stava per cambiare in maniera sostanziale, abbandonando il MIDI (gloriosissimo) a favore dell’audio digitale dove tutto era più scientifico, preciso, affidabile (il timing MIDI di Logic ad esempio era poca cosa in quegli anni). Utilizzavo Logic su Mac OS 7 che derivava dalla versione per Atari (Notator) e vedere le forme d’onda sul monitor (ingrandito a 17”) mi eccitava come un bambino a Gardaland.
LP Quando hai cominciato a occuparti di mix e mastering in modo più approfondito e sperimentale? Con quali strumenti?
GB Mix e mastering per conto terzi è una delle mie ultime attività in senso temporale, in quanto me ne occupo più o meno dal 2011 con la nuova configurazione dello studio dovuto alla sua completa ricostruzione. Devo dire che mi appassionano entrambi, a tal punto da non rinunciare quasi mai all’acquisto di un outboard o di un software di ultima generazione in grado di farmi fare sempre uno step in avanti. Dovendo ricomprare tutto ho optato per Weiss per il trattamento in ambito digitale e Maselec, Shadow Hills, SPL, GML, Bettermaker e Teknosign oltre a TubeTech per il trattamento in ambito analogico. Spesso a questi outboard unisco qualcosa a livello software (eq dinamici Sonnox Oxford) mentre per i diffusori la scelta è ricaduta su ADAM per gli ascolti medio grandi e IK Multimedia e Bose per riferimenti piccolissimi simil Hi-Fi da casa...
LP Che scelte hai fatto quando hai dovuto ricostruire lo studio?
GB La storia degli HOG passa imprescindibilmente da quel maledetto 29 Giugno 2009 dove ho perso tutto nell’incendio che divampò nella notte a causa dell’incidente ferroviario che causò la morte di 33 persone. Prima di quella data lo studio era fatto da una parte di nuove attrezzature (soprattutto la SSL Duality comprata tre mesi prima) e tutto quanto avevo accumulato a livello anche di synth ed expander negli anni precedenti, comprando anche tutta l’attrezzatura dei Casablanca Studio di Roberto Zanetti aka Savage. Perdendo tutto e costretto a comprare solo cose nuove e fatturabili ho optato per rinunciare ai synth e ricomprare solo microfoni e outboard oltre alla console ovviamente. La parte creativa non è mai dipesa, nel mio caso, dalle attrezzature bensì dal periodo della mia vita, alterno momenti di grande creatività ad altri meno proficui in questo senso. Le attrezzature, soprattutto quelle che riesco a comprare via via, mi danno quel quid di entusiasmo e di carica in più per creare musica.
LP Malgrado le DAW, hai scelto di lavorare con un SSL, perché?
GB Ho scelto Duality proprio perché, dal nome, mi dà la possibilità di lavorare sia ITB che OTB con la stessa semplicità, basta schiacciare un pulsante e il gioco è fatto, essendo sia un ottimo controller che un banco che non ha bisogno di presentazioni, per cui, a seconda del workflow, del tipo di produzione e di altri fattori (tempo, budget ecc.) la uso in un modo o nell’altro. Certo è che, arrivando dagli anni ‘80, ed essendo la console sempre stato il mio sogno sin da piccolo, non riuscirei a fare senza. Meno male che con SSL riesco a essere vintage e moderno allo stesso tempo. Difficilmente abbandonerò questo metodo di lavoro dal quale prendo il meglio da ogni lato. Spero solo di poter essere sempre performante e veloce come lo sono adesso.
LP Ha ancora senso investire nell’analogico e in uno studio quando quasi tutti ascoltano via internet?
GB Se si parte da zero secondo me no: lo dico anche contro il mio interesse. Oggi come oggi con un sistemino UAD e un computer ben fatto e performance si raggiunge sempre il risultato (a parità di manico): il fascino dell’analog gear ancora ha il suo effetto per cui la soluzione che vedo più utilizzata in giro è quella di avere un sistema DSP based attorniato da pochi ma selezionati outboard per il trattamento del segnale in uscita. Credo che sia la cosa più giusta: personalmente se dovessi partire da zero rimarrei affascinato anche dal sistema Slate Digital Raven tutto touch, sempre con un UAD 24 core on board, ma le scelte sono sempre molto soggettive ed è il bello di questo mestiere. Si può arrivare al risultato attraverso molte strade diverse tra loro. Ognuno di noi sceglie quella che gli è più congeniale.
LP Sei uno dei motori di mixmaster.pro, come consideri i giovani d’oggi e le loro basi di conoscenza?
GB Tengo molto a mixmasters.pro che è partito bene ma che è un progetto a lungo termine che mi vedrà impegnato sempre e costantemente al suo sviluppo: cerco di dedicarvi più tempo possibile ma non è semplice perché ho moltissimi altri impegni. Detto questo, riguardo i giovani, al di là di mixmasters faccio anche sei masterclass all’anno nei quali mi confronto con le nuove generazioni, molto determinate e ansiose di sapere. Malgrado questo entusiasmo che contagia anche me, credo che le maggiori lacune siano a livello culturale e musicale: si conosce l’ultimo plug-in ma non si conosce in nome della voce degli Earth Wind & Fire, si conosce la funzione estrema di un compressore multibanda ma poi non si trova il FA# sulla tastiera di un pianoforte. Non dico che bisogna essere tutti Chopin, ma la musicalità è fondamentale per che vuole produrre musica, non è possibile pensare di costruire una carriera sull’abbinamento di loop presi da librerie, per cui largo ai giovani ma che non pensino che è tutto un drag & drop!
LP Arrivando ai giorni nostri, hai presentato Native Instruments Maschine a un pubblico di addetti ai lavori con grande enfasi: si intuisce il tuo percorso del passato. Credi che NI sia sulla strada giusta o c’è ancora molto da fare per avvicinare la tecnologia ai musicisti?
GB Maschine è avanzatissima quanto vintage allo stesso tempo e ne sono entusiasta, perché mi riporta esattamente al punto di partenza. NI è leader in questo ambito, ma è ancora troppo legata al digital jockey e al tech producer. Il musicista classico ancora non si addentra nell’environment della casa tedesca, ed è un peccato. Io spingo molto i prodotti NI perché li trovi davvero ben fatti e performanti. È vero, alcune funzioni sono un tantino DJ oriented ma è questione di un minimo di evoluzione in più e vedrai che anche i vecchi musicisti vintage oltre me si avvicineranno ancora di più, perché oltre all’hardware anche il software adesso è davvero completo. Per i prossimi upgrade e nelle prossime comunicazioni io spingerei più il lato musicale di quello tecnico, anzi, proprio io sono tra i testimonial a livello mondiale scelti da NI proprio a questo scopo, in settimana produrrò un video che parlerà proprio di questa filosofia.
SOPRAVVIVERE E RINASCERE DA UN DISASTRO
Torniamo a quella maledetta serata. È stato detto di tutto e di più, ma solo Gianni può dire l’ultima parola su quello che ha vissuto. GB Il pomeriggio del 29 Giugno 2009 lo studio aveva più o meno la stessa capacità produttiva di adesso, ma gli spazi per le zone di ripresa erano stati sfruttati male, si perdevano mq in corridoi inutili, questo è vero, la società Ocean Trax SRL proprietaria di tutto, allora costituita da me e Paolo Martini al 50%, aveva un catalogo di 450 opere di cui teneva un backup delle sessioni e tracce separate che partiva dal nastro e arrivava all’HD passando da DAT ADAT e CD. Ocean aveva la sua normale attività produttiva, una giacenza discreta di euro sul conto corrente bancario e normali spese e profitti di una label discografica, prima ancora che uno studio di registrazione che utilizzavamo molto poco conto terzi e molto per i nostri bisogni. Il mattino seguente tutto questo era stato cancellato in una sola notte (tranne ovviamente il conto corrente) e abbiamo impiegato due anni per pulire, smaltire le macerie e ricostruire, due anni fatti di riunioni, comitati, colloqui, relazioni e quant’altro necessario e propedeutico alla ricostruzione, due anni nei quali non fu tutto chiaro subito, dove non si sapeva se avremmo potuto ricostruire e, se sì, li, o altrove, e se altrove dove? Due anni senza entrate e con quasi solo spese, due anni nei quali l’odore della fuliggine degli HD bruciati che tenevo in uno scatolone mi nauseava ma nonostante questo non ho licenziato nessuno e ho continuato la sola attività di editore da un ufficio di fortuna, utilizzando le mie risorse: la regione toscana mi ha risarcito al 100% è vero, ma solo per la parte imponibile e non per l’IVA. Ciò significa che a fronte di un milione di euro spesi per demolire, ricostruire, ottimizzare e comprare le attrezzature sulla base delle fatture prodotte alla regione Toscana, 220.000 li abbiamo dovuti anticipare noi. La cosa è stata chiusa in questo senso, surrogando la regione Toscana a recuperare quanto elargito a titolo di prestito da Ferrovie dello Stato nel corso degli anni successivi. Risultato: lo studio è sicuramente meglio oggi di prima, le attrezzature tutte nuove e gli spazi sfruttati in maniera più intelligente, ma i soldi sono tutti andati per pagare l’IVA e tutte le spese non espressamente comprese nei risarcimenti (avvocati, perizie, consulenze) e, dopo un patteggiamento con Ferrovie per il valore del catalogo, la questione è stata chiusa tre anni fa. Sono grato a tutte le persone dell’allora ufficio SUAP di Viareggio, in primis Ilaria Puccini e Silvia Carignani della regione Toscana, perché sono state degli angeli in momenti davvero difficili dove non si sapeva che cosa sarebbe accaduto nel prossimo futuro. Chi ha uno studio hi-end come questo sa benissimo che accumulare di nuovo un centinaio di migliario di euro è impresa se non impossibile molto difficile, per cui a tutte le persone che a mezza voce dicono cazzate, a tutti quelli che oggi ancora rosicano e scrivono post su di me pur non conoscendomi, a tutti quelli che credono che lo Shadow Hills sia caduto dal cielo voglio dire questo: ma voi chi siete? Dove eravate quando con i vigili del fuoco a turno entravamo tra le macerie a cercare un oggetto caro, un documento, una qualsiasi cosa? Che ne sapete voi di quello che si passa per recuperare e convincere le istituzioni che il tuo era uno studio con doppie mura anche triple e non un ufficio o un magazzino a pregare il funzionario di turno affinché legga la tua relazione, a elemosinare cinque minuti dal politico di turno della regione Toscana per spiegare che in un iLok da 25 euro ci son 25.000 euro di licenze? Sono stufo di sorridere a quelli che pensano che io nella vita ho avuto fortuna (sì, fortuna perché non sono morto), ho lottato molto per avere di nuovo il mio studio, ho tenuto accanto a me il mio socio di allora che se se ne voleva andare per la disperazione, ho scavato a mani nude nelle macerie, ho partecipato in prima persona facendo il falegname e l’elettricista, non ero al mare ad aspettare che mi chiamassero e mi dicessero, ecco puoi entrare!