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Intervista: Walter Babbini, dal Revolver al Bloom studio


L’evoluzione in dieci anni di studio, il passaggio dal puro analogico di alta gamma a un sistema ibrido, l’amore per l’outboard analogico: tutto questo è il Bloom studio di Walter Babbini.

Luca Pilla Come è nato lo studio di registrazione e come si è evoluto nel tempo?

Walter Babbini: A metà degli anni 2000, insieme ad altri soci, abbiamo aperto il nostro primo studio, il Revolver, dove ho avuto il piacere di collaborare con molti artisti importanti quali Zucchero, Alan Parsons, Nicola Piovani, Ennio Morricone, Negrita e tanti altri. Negli anni abbiamo sentito l’esigenza di una struttura più grande, che avesse due regie (una conto terzi ed una esclusiva per me) e anche sale di ripresa più ampie e curate acusticamente. Quindi nel 2015 abbiamo iniziato il trasferimento nella nuova sede, il Bloom Studios, dove siamo finalmente operativi da Gennaio 2016.

LP: Quali sono stati i cambiamenti degli ultimi tempi e cosa hai scelto per la ristrutturazione?

WB: Rispetto al vecchio Revolver, che era stato impiantato in una palazzina degli anni '50, il Bloom è una struttura completamente nuova, costruita nel verde, senza limitazioni progettuali di forma. La parte destinata allo studio di registrazione (situata nel piano inferiore dell'edificio) è di quasi 400mq suddivisi al suo interno in due studi indipendenti. Il Brown che è principalmente rivolto a conto terzi, curato e gestito dal mio socio Fabrizio Ludovici e il Purple che è la mia base operativa, dove ogni aspetto è stato concepito per le mie esigenze tecniche e lavorative. Il punto di unione fra Brown e Purple è la sala di ripresa principale, grande circa 100mq, soffitti alti 5m, che può essere utilizzata da entrambe le control room. Ogni studio ha un’entrata indipendente, propria regia, varie sale di ripresa e diverse isobooth, living room molto accoglienti, uffici, servizi, cucina, ecc. Inoltre al piano superiore, stiamo ultimando le accomodation per gli artisti e il loro staff, altre zone living e servizi. Nel Bloom possiamo offrire un numero maggiore di spazi rispetto a prima, sia per sviluppare un percorso compositivo, sia realizzativo, in un ambiente dedicato esclusivamente alla musica. Tutto l'esterno ha memorie di storie antiche, gli ulivi secolari che circondano il giardino e gli studi fanno da cornice a chi vuole realizzare la proprie idee vivendo un’esperienza ispiratrice, lontana dal caos cittadino ma avendo a disposizione il top dell'equipment e delle competenze. Nel sito è tutto ben specificato (www.bloomrecording.com e www.walterbabbini.com).

03 La vastissima collezione di pedalini analogici all'ingresso dello studio

LP: Qual è la filosofia dello studio e cosa offrite ai musicisti?

WB: Quello che portiamo avanti da sempre è la qualità e il concetto di ricerca artistica e sonora. Siamo convinti che la musica meriti ancora degli spazi professionali dove poter essere realizzata, con cura e dedizione. Il Bloom offre un grande supporto tecnico ed artistico, partendo dagli strumenti ho decine di chitarre e ampli vintage, quasi 200 pedali (alcuni molto rari e ormai introvabili), echo a nastro, due Binson, synth oscuri, Hammond con leslie, batterie Ludwig anni ’60 e moderne, piano verticale e a coda e una vasta scelta di microfoni. Sono tutti colori fondamentali per sviluppare il proprio sound in maniera autentica e magari allontanarsi dal già sentito che imperversa i nostri tempi. Anche per i convertitori c’è stata una grande cura. Per il missaggio abbiamo a disposizione una SSL4048E/G ed il mio esclusivo Noah Hybrid System, una vastissima scelta di outboard, acustica eccellente, ascolti professionali (ATC Loudspeakers, Quested, Yamaha, KRK). Il nostro obiettivo è mettere in condizione di raggiungere il miglior risultato, sia una produzione completa che necessita di uno studio professionale in cui lavorare, sia l’artista o il produttore che vuole lavorare con me nella zona Purple.

01 Il rack di outboard dello studio Purple, parte indispensabile per il sistema ibrido

LP: Quali sono state le esperienze che ti hanno formato in passato e cosa ti ha spinto a creare uno studio di così alto livello?

WB: Ho iniziato studiando chitarra classica, poi ho sterzato verso il rock e pop, quasi sempre in progetti originali, ma subito dopo sono passato ad interessarmi al ruolo di produttore. Le mie esperienze come musicista mi aiutavano per la parte artistica e degli arrangiamenti, ma avevo poca dimestichezza con la fonia. Quindi ho cominciato a frequentare gli studi di registrazione assiduamente. Nel 2006 ho collaborato con David Bianco (due volte Grammy, in USA è un’istituzione), lì ho capito che il modo di lavorare anglosassone aveva una professionalità molto lontana dagli standard italiani, è stata una prima illuminazione. Due anni dopo, grazie ai consigli di David, abbiamo aperto il vecchio Revolver. Lì ho potuto approfondire molti aspetti e alcune collaborazioni mi hanno fatto crescere molto. La prima è stata quella con Fabio Venturi, il migliore nella musica sinfonica, sono più di venti anni che cura ogni singola nota di Ennio Morricone. Registrare un’orchestra o un ensemble acustico con lui è una grande scuola. Poi Alan Parsons! Lavorare al suo fianco è stata un’esperienza fuori dal comune. Stavamo registrando la band URock e ha voluto tutti i musicisti compreso il cantante nella sala di ripresa, mi disse: “Voglio catturare il suono della band per intero, non registrare dei pezzetti”. Ero preoccupato per i rientri, invece con soli due pannelli divisori e il giusto posizionamento dei microfoni, in regia avevamo un suono perfetto. Anche nel mix la sua tecnica è incredibile, molto diversa dalle tendenze attuali. Mi ha insegnato a utilizzare in maniera estrema gli eq e a essere meno radicale sui compressori (che lui usa abbastanza poco) in molte situazioni, mi diceva: “Devi amare la dinamica!"… Anche la sua gestione della stereofonia, dei riverberi e delay, dello spazio mi è spesso di grande ispirazione. L’ultima collaborazione che menziono, la più importante per me, è stata quella con Michael Brauer. Prima di conoscerlo avevo letto molto sul suo conto, dal momento che gode di una fama mondiale nel settore, ma poi dal vivo è stata tutta un’altra cosa. Credo che il livello del suo concetto di mix vada oltre, il suo reale setup di lavoro ha una complessità che metterebbe in crisi i più esperti ed è frutto di una lunga sperimentazione non solo sulle compressioni parallele, ma dentro c’è tutto, distorsioni, saturazioni, effetti di modulazione, equalizzazioni in diversi punti delle catene audio, riverberi, delay, echo, spreader… tutto interconnesso, ogni setting, ogni macchina esterna ha un ruolo specifico, scelta dopo lunghi test. Per gestire il suo routing serve la conoscenza di tutte le funzioni della console ed io mi resi conto che ne usavo forse la metà. Inoltre, l'uso dell’automazione era talmente esteso che mi misi subito a ripassare tutti i manuali SSL. Ricordo che i primi giorni non capivo molto di quello che succedeva, ogni strumento non usciva mai dal suo canale, ma contemporaneamente da diversi compressori, riverberi e delay, saturatori, Binson, la catena sul master infinita, era un inferno, ma tutto suonava divinamente…ho impiegato mesi a capire tutte quelle sfumature, poi una volta metabolizzate sono diventate normalità. Michael, che come tutti i grandi non è affatto geloso del suo sapere, mi ha insegnato che la compressione non ha mai il ruolo di appiattire la dinamica, piuttosto quella di scolpire il suono, anche modificando la timbrica se serve, questo perché nel mix bisogna sempre contestualizzare i suoni, ragionare sull'insieme e non sul singolo elemento. Ogni scelta o movimento, deve trasmettere emozioni ed essere di supporto al brano, portando il pensiero dell’artista al suo culmine. Per passare alla seconda parte della domanda, è abbastanza semplice la risposta, crediamo ancora che la musica abbia bisogno degli spazi giusti e di strumentazione di qualità per essere realizzata.

02 La sala regia dello studio Brown

LP: In studio c’è un banco SSL, cosa ne pensi e come lo integri nella produzione di questi anni?

WB: Si, in realtà abbiamo avuto per molto tempo due SSL, una 4048E/G vintage dei primi anni '80 e una 9048J del 2002, tra le ultime prodotte, con quest’ultima ho lavorato quasi dieci anni, dal 2007 fino a otto mesi fa circa, quando ho deciso di passare ad un sistema ibrido, visto che lo studio Purple non è destinato al conto terzi, ho voluto personalizzarlo al massimo. Invece nella parte Brown, dove spesso vengono sound engineer esterni, abbiamo lasciato la SSL4000E. Per tornare alle due SSL posso dire che sono abbastanza diverse tra loro, la Serie E è più colorata, se spinta offre una saturazione molto musicale, le medie sono aggressive senza diventare mai acide, è un banco veramente riuscito, soprattutto per il rock e pop. La Serie J è diversa, più versatile, tecnicamente ha una qualità sonora superiore ma più neutrale, quasi hi-fi, inoltre automazione, routing e funzionalità si sono evolute alla fine degli anni '90, ma in ambito pop-rock se non viene condita con l’outboard giusto rischia di avere poca personalità. Nella regia dove c'era la 9000J l’integrazione con l’outboard era studiata in ogni dettaglio, questo soprattutto grazie alla collaborazione che ho avuto con Michael Brauer, che dall’alto della sua conoscenza, mi ha svelato molti segreti del suo personalissimo metodo di lavoro. Mi ha anche lasciato tutti i suoi settaggi quando abbiamo missato il disco di Zucchero, sono stati un ottimo punto di partenza per sviluppare un mio stile. In ambito lavorativo, partendo dal recording, avere una console rende il processo molto più fluido e naturale, per quanto riguarda il missaggio, si ha il vantaggio di poter convogliare facilmente gear analogico nel routing ma soprattutto grazie all’automazione il mix è sempre molto dinamico, spendere tempo a scrivere i movimenti dei fader fa la differenza. Lo svantaggio invece sono le eventuali modifiche chiuso un mix, il recall non è mai una cosa piacevole nel mondo analogico.

05 La sala ripresa

LP: Perché sei passato dalla 9000J a un sistema ibrido?

WB: Fortunatamente sono rimasto in contatto con i sopracitati mixing engineer d’oltreoceano (Brauer, Bianco, Gilligan, ecc.) e ultimamente per le ragioni che tutti conosciamo, ovvero costi/benefici, molti top engineer si sono creati un setup ibrido, parallelo o definitivo, con risultati eccellenti, tanto da non rimpiangere assolutamente le loro vecchie large format console (SSL o Neve). La cosa mi ha incuriosito molto e piano piano, circa un anno fa ho iniziato a chiedere suggerimenti (soprattutto considerando la grande difficoltà che abbiamo noi in Italia nel poter provare alcune macchine). Ipotizzare il passaggio ad un sistema modulare, non è stato così immediato, ero abbastanza scettico, dopo tanti anni su una SSL non è semplice cambiare radicalmente, ma quando ho capito che questa soluzione poteva convogliare tutta l’esperienza ed il setup che avevo sulla 9000J ma svincolarmi dal limite di un unico suono predominante, come sono le console standard, mi sono messo con entusiasmo a fare tantissimi esperimenti sonori. Poi se consideriamo che oggi l’evoluzione del digitale ha fatto passi da gigante ed il mercato offre molti sommatori di altissima qualità, ognuno con delle caratteristiche ben precise, studiando attentamente una configurazione ideale si può arrivare a costruire il proprio sistema custom unico, cucito su misura, veramente al millimetro, sul proprio stile/sound. Nel mio caso ho selezionato cinque diversi summing amp, alcuni moderni e altri vintage (Chandler, Burl, Electrodyne, Neumann, Folcrom+2 Redd47), per avere 96 linee analogiche con colori nettamente differenti, destinati ad accogliere gruppi di strumenti diversi (a seconda delle loro caratteristiche sonore). I sommatori sono concatenati in maniera specifica al mio outboard, che sono quasi settanta unità, è un insieme molto esteso e articolato nel suo complesso. Il risultato è un sistema, completamente analogico, che unisce timbriche diverse, con rapporto segnale/rumore superlativo, cablaggi molto più snelli a beneficio della qualità audio, recall semplificato e possibilità nel tempo di ampliare o modificare con grande facilità tutto il setup. È chiaro che la parte più difficile è stata la configurazione iniziale, le tarature, definire il routing, ho impiegato mesi per arrivare ad un sistema che mi piacesse più della mia vecchia console. Naturalmente, per avere un sistema ibrido funzionale, diventa importantissimo implementare al massimo anche la parte digitale, l’utilizzo di Pro Tools e dei plug-in è molto più massivo, quindi deve essere sempre aggiornato e performante. Poi avendo nello studio Brown una SSL4000E, quando ne sento l'esigenza vado a lavorare li.

LP: Approfondiamo il concetto di sistema ibrido?

WB: Il mio sistema ibrido comprende un Avid Pro Tools HDX principale, dove lavoro sulla sessione, e un Pro Tools HD2 secondario che uso solo per stampare i mix, così da poter essere svincolato dalla frequenza di campionamento della sessione originale. Di base acquisisco i mix/stems a 96 kHz (se poi cerco un suono meno definito, posso utilizzare anche i 44.1), mentre per le sessioni lascio naturalmente quella di origine se sono produzioni esterne. Se invece il progetto parte da me, dipende dal genere musicale: se il sound è più acustico/dettagliato lavoro a 96 kHz, se invece c’è molta distorsione, si lavora bene anche a 44.1/48 (in alcune situazioni andrebbe bene anche 22 kHz, molto crunchy). Per i convertitori, sull’HDX ho due Apogee Symphony con 32 input analogici, 32 input digitali e 64 output analogici, servono molte linee per il routing se si utilizza outboard esterno, inoltre nel sistema va evitato in maniera categorica di avere convertitori diversi, perchè significherebbe latenze diverse e seri problemi di fase! Nel secondo Pro Tools, ho una 192 che serve solo da bridge per la Crane Song HEDD, che è il mio convertitore stereo per il printing: ne ho provati tanti ma resta il mio preferito. Per il masterclock ho Antelope 10M Atomic Rubidium reference generator che poi va al Trinity per distribuire appunto frequenze diverse, un upgrade importante che però fa la differenza. Da qui scendiamo nel vivo della configurazione, che segue una logica ben precisa: gli strumenti vanno divisi e convogliati in gruppi che seguiranno quasi sempre lo stesso percorso, nei sommatori e nell’outboard già settato per svolgere quella precisa funzione. C’è da puntualizzare che dei miei cinque sommatori, quattro servono per accogliere l’uscita dei convertitori e i ritorni dell’outboard mentre un quinto serve a sommare le uscite stereo dei quattro sommatori e altro gear lasciato svincolato. Così facendo l’uscita finale è solo lo stereo dell’ultimo summing amp che raccoglie tutto e si ha la possibilità di aggiungere alla catena master compressori, eq e limiter come fosse una normale console. Ma la grande differenza sonora, rispetto a quando lavoravo sulla SSL9000J, è che in questo caso, invece di avere un unico suono su tutto, si possono unire sonorità molto differenti grazie alla varietà dei sommatori in commercio, quindi macchine aggressive, morbide, timbriche old/vintage o moderne/trasparenti. Inoltre, la scelta del sommatore finale caratterizza ulteriormente il suono generale, insomma le possibilità sono veramente tante e questo per me è molto stimolante. Tornando al percorso del segnale, dal convertitore vado quasi sempre al sommatore, tranne casi specifici in cui passo prima in un outboard, poi anche le uscite stereo dei quattro sommatori passano per un determinato gear prima di andare nella somma finale. Vanno fatte molte prove prima di essere sicuri che in ogni nodo sia stata fatta la scelta migliore. Inoltre, pur avendo un routing molto esteso, non utilizzo insert dentro Pro Tools, proprio per evitare anche le latenze più lievi, mentre ho molti buss per compressioni/saturazioni parallele. Nel setup è fondamentale che tutto sia tarato, i sommatori, i ritorni delle macchine esterne, soprattutto se si vogliono spingere al massimo i segnali di linea, in modo da colorare il più possibile, non c’è cosa più inutile di una somma sterile, considerando la qualità raggiunta dalla somma ITB oggi. Proprio in virtù di questo, c’è da tenere presente, che un sistema ibrido ha senso, solo se ben studiato, altrimenti si rischia di buttare soldi inutilmente.

Il parco chitarre a disposizione dei clienti

LP: Qual è stato il percorso per scegliere il banco nella regia Brown?

WB: Diciamo che la SSL 4000 è abbastanza immediata nell’utilizzo, il canale offre di partenza ottimi eq e compressori, oltre al famoso Buss Compressor, l’automazione è semplice e funzionale e il routing molto versatile, inoltre la saturazione dei VCA è subito efficace, quindi è quello che serviva. Inoltre la serie E ha dei buoni preamp, certo non siamo al livello di console Neve, API o altre vintage (Helios, Trident, MCI, EMI, Electrodyne, QuadEight, ecc.) che offrono qualità superiore nei pre, quindi bisogna rifornirsi di diversi preamplificatori esterni, cosa che abbiamo fatto, aggiungendo Neve, Chandler, API, Retro, Trident, ecc.

LP: Come è stato realizzato lo studio dal punto di vista acustico?

WB: La progettazione è stata affidata a Josif Vezzoli, che secondo me è uno dei pochi in Italia ad avere esperienza e capacità per poter affrontare strutture di dimensioni medio-grandi. Siamo partiti dall’isolamento, dove ogni stanza è stata completamente scollegata dal resto, soprattutto dallo scheletro in cemento armato. Josif viene dalla scuola di Sam Toyoshima, quindi per il trattamento acustico delle due regie ha disegnato le pareti frontali riflettenti, le laterali che diventano in percentuale sempre più assorbenti mentre la posteriore è completamente assorbente. Secondo me è il sistema migliore, non avendo ritorni si riesce ad avere un dettaglio incredibile, per lavorare bene è indispensabile! Le sale di ripresa in base al volume e all’utilizzo hanno soluzioni molto diverse tra loro, diffusione, riflessione e assorbimento convivono per raggiungere un obiettivo ben preciso, sia per risposta in frequenza sia per tempo di riverberazione. Ad esempio se in una room sai che andrai a registrare batterie e ampli per basso, non basterà incollare alle pareti materiale fonoassorbente come in un booth per le voci, per gestire dai 300 Hz in giù servono trappole specifiche e superfici inclinate, messe da chi sa farlo e non con approssimazione. È scienza, non è un’opinione. Poi, un’altra cosa molto positiva del Bloom, è stata che partendo da zero, Josif ha potuto sagomare ogni stanza con le dimensioni necessarie per avere di partenza meno onde stazionarie possibili e questo è un vantaggio notevole rispetto a chi si deve adattare a spazi pre-esistenti. I nostri ascolti principali sono le ATC, abbiamo sia le SCM25, sia le SCM50, non le cambierei con nessun altro monitor. Poi le classiche NS10 con sub Focal, varie KRK e nella regia Brown delle main Quested.

LP: Quali preamplificatori hai scelto?

WB: Amo molto i pre vintage, hanno un suono unico e grande personalità, ho degli Electrodyne anni ’70, vecchi Altec, moduli Neve 1073 originali, due Fucifier ormai rari e molto belli, ma in studio ci sono molti preamp moderni, 1073 DPA, Focusrite ISA, i nuovissimi API 3124V (con output e 3:1), una coppia di Chandler Germanium, un TG2 e due Redd47, la riedizione dei gloriosi valvolari EMI, sono fantastici! Ma nel tempo ho capito che non esiste un pre che suoni bene su tutto, dipende dal microfono e dalla sorgente a cui è accoppiato, la cosa funziona solo se si ha bene in testa dove si vuole arrivare… come non è sempre vero che macchine molto costose siano vincenti, dipende dal contesto, i Black Keys ne sono un esempio.

L'ingresso del Purple Studio

LP: Compressori ed equalizzatori, come li hai scelti e perché?

WB: Degli eq è molto importante la musicalità per me, troppo spesso ci si trova di fronte a macchine troppo spigolose e acide, che per risolvere un problema ne creano un altro peggiore. Quindi parto da unità che abbiano morbidezza sonora e calore. Ho dei valvolari stile Pultec (il mio preferito è il Retro 2A3) oppure Avalon, poi Neve 1073 e moduli vintage Neumann/Telefunken molto rotondi sulle basse e setosi sulle alte, il magnifico Curve Bender che uso sul master, poi mi sto facendo rackare dei canali Quad8, che forse sono i più musicali in assoluto. Ho tenuto anche degli SSL vintage a rack per avere quell'aggressività che in alcuni casi serve, ho due pink e due black. Anche gli API mi piacciono molto. Per i compressori la filosofia è abbastanza simile, la morbidezza degli ottici valvolari è fondamentale, quindi parto da CL1B, Avalon, UA, il carattere dello StaLevel, VacRac e Pendulum, l’aggressività degli Urei 1176, 1178, Empirical Labs Distressor, la versatilità di Neve 33609 o Thermionic Culture The Phoenix e la particolarità di macchine come Chandler Germanium e Zener, Boiler, SPL Transient Designer, UBK Fatso e molti altri. Per quanto riguarda il buss compressor, mi piace l'Obsidian, a mio parere la miglior riproduzione dell'originale SSL. Immancabile sul master anche il mio Shadow Hills Mastering Compressor, che è una macchina incredibile, la più riuscita degli ultimi anni. Dimenticavo il Pendulum PL2, un peak limiter analogico velocissimo, che è sempre l'ultimo anello della catena.

LP: Hai un trucco da condividere con i lettori che hai imparato in questi anni?

WB: Certo, è quello di cercare di avere una room che sia curata acusticamente il più possibile, senza l’angoscia di capire fuori il suono come sarà, investire sull’acustica delle sale e sugli ascolti è la prima cosa da fare, altrimenti si lavora male. Inoltre sperimentare il più possibile, la continua ricerca e approfondire ogni giorno le proprie conoscenze sarà sempre un grande punto di forza, mai fermarsi!

04 Walter Babbini

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