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Marcello Spiridioni, la filosofia del mastering - intervista


Il punto di vista di un grande professionista del mastering che, dopo una vita dedicata a questo lavoro, non è ancora stanco di migliorare e di andare alla ricerca di nuove soluzioni.

Marcello Spiridioni porta sulle sue spalle quarant’anni di esperienze maturate nel campo della finalizzazione delle produzioni musicali, e dalle sue parole possiamo ripercorrere, da una prospettiva inedita, i passaggi salienti dei grandi cambiamenti avvenuti in questo lungo periodo. Un tragitto fatto di evoluzioni tecnologiche, dai dischi in vinile al compact disc, fino all’attuale musica liquida, ma anche un percorso segnato da grandi cambiamenti nei metodi di produzione e nei rapporti interpersonali tra tecnici, produttori e artisti. Ne nasce un racconto al tempo stesso affascinante e amaro, che descrive il graduale e generale deterioramento della qualità delle produzioni musicali.

Marcello ha però deciso di non arrendersi a questo degrado e si è impegnato a combatterlo intraprendendo l’ambizioso progetto di realizzare in Italia uno studio di mastering di caratura internazionale. Insieme a Massimo Scarparo, proprietario dei prestigiosi Forward Studios a Roma, ha negli ultimi anni elaborato una struttura di altissimo profilo qualitativo sotto tutti i punti di vista.

Stefano Pinzi Come sei entrato a far parte di questo mondo e quali sono stati gli aspetti che prima di altri ti hanno fatto appassionare a questa professione?

Marcello Spiridioni Ho cominciato nel lontano 1973 negli studi della RCA italiana. La mia fu una scelta ben precisa e consapevole, non frutto del caso. Da ragazzino suonavo la batteria con un gruppo e quindi nutrivo già una grande passione per la musica, anche se nella mia famiglia non c’era alcuna tradizione di questo genere. In quell’epoca trovare lavoro non era complicato come lo è oggi, e tramite un amico riuscii a ottenere una settimana di prova in questa prestigiosa struttura. Non mi accettarono subito, ma ero talmente convinto di voler fare questo lavoro che mi ero già licenziato dal precedente impiego, e così li convinsi a richiamarmi.

Era una struttura veramente grande, con circa 700 dipendenti. Cominciai come assistente tuttofare, mi occupavo soprattutto dell’ascolto dei nastri, ma dopo pochissimo tempo si liberò un posto al cosiddetto transfer, dove si facevano le lacche per la produzione dei vinili. Così cominciai a maturare la mia esperienza come operatore di trasferimento dal nastro analogico a vinile. C’erano moltissime produzioni da gestire, davvero tante lacche da preparare ogni giorno. Ancora non si trattava di un mastering vero e proprio, solo alcuni grandi nomi andavano a realizzare il master all’estero, soprattutto in Inghilterra, alla ricerca di qualcosa in più rispetto al semplice trasferimento da supporto a supporto. Nella sala del transfer lavoravo su un tornio Neumann VMS68 e fu qui che ebbi l’occasione di conoscere per la prima volta Lucio Dalla.

Come altri artisti del suo calibro era andato in Inghilterra a incidere le lacche per il suo disco “Come è profondo il mare” e, tornato in Italia, venne in RCA per farne un ascolto più accurato in studio. Qui si accorse di alcuni problemi legati al supporto e fu quindi richiamato a Roma il tecnico inglese per ripetere il processo di mastering. Io gli facevo da assistente nella nostra cutting room e segnalai un possibile problema, perché a mio parere si stava operando a un livello troppo alto per il tipo di macchina che avevamo a disposizione. Lui andò a chiamare un responsabile della RCA dicendo che io non volevo fare il master, ma gli spiegai le mie ragioni e proposi di preparargli una mia versione. Lucio fu d’accordo e disse che il mattino dopo sarebbe tornato per ascoltare il risultato, chiedendomi: “ma sei sicuro?”.

Questa frase è poi diventata il nostro tormentone, fatto sta che la mattina dopo Lucio scelse la lacca che avevo preparato io, dando così il via a una lunga e meravigliosa collaborazione con lui, con Ron, gli Stadio, Luca Carboni e in generale tutto il team di artisti che ruotavano intorno a Lucio in quel periodo. È stata una bellissima esperienza, che mi ha dato tantissimo anche dal punto di vista umano. Poco alla volta, e inizialmente in maniera molto limitata, il processo di mastering cominciò a trasformarsi anche in Italia. Furono introdotte nuove apparecchiature e fu realizzato un nuovo studio dedicato al mastering, con un’acustica molto bella progettata dal grande guru Tom Hidley. C’erano molte etichette distribuite da RCA e le produzioni interne da seguire erano così tante da non consentire di lavorare conto terzi. Poi si cominciò gradualmente ad aprire anche a clienti esterni, e quelle furono le prime avvisaglie di un cambiamento che ancora oggi viviamo.

Tom Hidley rca studio mastering marcello spiridioni hardware intervista stefano pinzi audiofader

Marcello Spiridioni nello studio di mastering RCA nel 1986, progettato da Tom Hidley

SP La grande transizione dall’analogico al digitale: quali furono i cambiamenti più evidenti e traumatici?

MS Con l’arrivo del Compact Disc nel mondo del consumer e del processore Sony PCM1630 in campo professionale, ci fu il definitivo passaggio alle tecnologie digitali. Il passaggio analogico dal nastro all’acetato era sempre abbastanza delicato, c’erano problemi e limiti meccanici che dovevano essere curati e compensati. Infatti con Lucio abbiamo sempre affrontato queste questioni a quattro mani in maniera molto critica, ascoltando sempre con attenzione e cercando di raggiungere il risultato migliore. Diciamo che il fine era soprattutto di trasferire le informazioni da un supporto all’altro con la minore perdita possibile; un po’ alla volta questo approccio conservativo si è trasformato in un atteggiamento migliorativo, per poi arrivare alla situazione attuale, nella quale ci si attende che il mastering possa salvare un lavoro fino a quel punto realizzato con trascuratezza.

I cambiamenti più drammatici portati dalla tecnologia digitale si sono cominciati a vedere dal 2000: c’è stato un degrado incredibile un po’ a tutti i livelli, anche nei rapporti tra le persone. Pare quasi che gli sviluppi tecnologici abbiano finito per penalizzare soprattutto la creatività delle produzioni. Chiunque suona, tutti registrano, tutti producono e i risultati purtroppo si sentono! Fortunatamente sto notando un graduale riavvicinamento alla ricerca di qualità, anche in alcune produzioni che sono passate in questi mesi qui negli studi del Forward.

SP Anche il mastering professionale sta diventando sempre più spesso un passaggio opzionale, e non solo per le piccole auto-produzioni. Molti scelgono di semplificare questa operazione con l’uso di plug-in tuttofare, ma cosa si perde in questo modo secondo te?

MS In questo caso le differenze diventano abissali. Alla base di tutto c’è un investimento molto grande sulla qualità dell’ascolto, sull’acustica, sulle macchine e sulle persone, per cui non è possibile fare un paragone con un mastering improvvisato. Considera che questo studio di mastering è in attività dal 2011, ma abbiamo cominciato a pensarlo e progettarlo già nel 2005. Nel mezzo c’è un investimento di sei lunghi anni di ricerca su macchine, cavi, catene audio, ecc. Oggi sorgono studi di mastering dalla mattina alla sera, ma troppo spesso si tratta di strutture improvvisate o mal riadattate a questo scopo.

Lavorare in modo professionale ha i suoi costi, è vero, ma è anche vero che senza un’adeguata qualità di ascolto non è possibile realizzare un prodotto accurato sotto tutti i profili. Spesso ci si accorge solo durante il mastering di certi problemi che invece potevano e dovevano essere risolti prima. Di questo passo il mastering rischia di tramutarsi in una seconda fase di mix, e non deve essere così!

SP Da qualche parte si sono persi alcuni passaggi fondamentali per la catena di produzione, quali sono secondo te?

MS Si è persa soprattutto la comunicazione tra l’artista e il tecnico. Se si deve passare del tempo in studio con un artista, è fondamentale instaurare un rapporto di comunicazione. Ogni artista avrà le sue paure e i suoi dubbi, quindi è basilare capirsi e risolvere i problemi insieme, ciascuno dal proprio punto di vista. Invece oggi gli artisti si confrontano spesso con persone poco preparate, perché si è venuta a creare una cultura superficiale. Quando l’artista percepisce nell’aria questa incertezza, il lavoro è destinato a non finire bene. La normalità invece dovrebbe essere quella di un lavoro svolto da persone competenti, con le giuste attrezzature e in luoghi consoni.

Aggiungerei un’altra osservazione a tal proposito: un vero studio di mastering non dovrebbe sentirsi in obbligo di accettare qualsiasi lavoro. Di fronte alla scarsa qualità di certi prodotti è molto più serio suggerire al cliente che in tali condizioni il mastering sarebbe solo una perdita di tempo e denaro, e che sarebbe molto più utile rivedere tutto il lavoro che è stato fatto a monte. Potrebbe apparire controproducente, ma sono convinto che certe scelte paghino a lungo termine. Per queste stesse ragioni preferisco sempre realizzare il mastering in presenza di almeno un rappresentante della produzione.

Con il net-mastering non c’è sufficiente comunicazione, si corre sempre il rischio di non interpretare correttamente le intenzioni dell’artista e le osservazioni che vengono fatte al lavoro, anche perché non si può mai sapere in che modo è stato ascoltato. Dall’altra parte l’artista non potrà capire le ragioni per cui sono state fatte determinate scelte. Preferisco evitare la logica del supermercato, dove basta la carta di credito per avere in mano il prodotto; meglio piuttosto accompagnare l’artista alla ricerca del 100% del risultato desiderato. Si crea così un rapporto di amicizia, di stima reciproca, di fiducia che si protrae nel tempo. Questa una volta era la consuetudine, io per esempio uscivo dallo studio e, anziché andare a casa mia, andavo da Renato Zero a sentire le lacche e poi si usciva a cena. Questo secondo me è un lavoro unico, che non si può assimilare ad altri; lo devi vivere.

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La cutting room degli studi RCA nel 1974. Alla destra di Marcello, il tornio Neumann VMS 68.

SP Questi cambiamenti hanno radici culturali, quindi?

MS Sicuramente. Siamo ormai costantemente bombardati da informazioni che, falsamente, presentano sistemi digitali che garantiscono le stesse prestazioni sonore dell’hardware analogico, o che offrono la possibilità di realizzare uno studio professionale con poche migliaia di Euro. È sparita la figura professionale del direttore artistico, quella del talent scout e molte altre, e magari l’artista si trova a coprire anche i ruoli del produttore e del fonico, mentre dovrebbe fare l’artista e basta, perché quella è la sua competenza. Il digitale, che in molti settori della nostra vita ha portato cambiamenti straordinari, nella musica sta probabilmente arrecando più danni che benefici, semplicemente perché ha fatto apparire di scarsa importanza la professionalità, che invece è basilare.

SP A proposito di tecnologie digitali, che uso fai dei plug-in nella fase di mastering?

MS Molto limitato, direi. Di solito li impiego nelle fasi iniziali, se rilevo qualche difetto che necessiti della flessibilità di un plug-in per poter essere corretto. Li trovo molto utili nella catena di produzione, ma nel mastering preferisco affidarmi all’hardware che conosco e che può darmi certe garanzie di qualità. È più frequente dover scegliere tra due cavi di diversa lunghezza, perché anche una diversa impedenza può cambiare il suono che si ottiene. È per questo che nel mastering non vedo una grande utilità da parte dei plug-in, sono sistemi che ancora introducono troppe imprecisioni per poter essere utilizzati.

SP Tra i prodotti che arrivano in studio per il mastering, quali sono le carenze e gli errori più frequenti?

MS In generale molte imprecisioni dal punto di vista sonoro, in gran parte dei casi determinate da un ascolto inappropriato. Non mi permetto di giudicare le scelte artistiche, ma spesso c’è molta incoerenza e superficialità nella gestione dei suoni. Magari posso apparire esagerato nella ricerca della perfezione, ma quello che ci arriva dall’estero sono prodotti registrati e mixati ad altissimi livelli. Basta fare un giro nella sezione Mastered for iTunes dell’omonimo software per ascoltare le differenze tra produzioni che dovrebbero essere state appositamente curate per ottenere il migliore risultato possibile in quel contesto.

Non è una procedura che viene risolta con il plug-in della Apple, ma una ricetta molto più approfondita, fatta di molti tentativi di trattamento dell’audio che dovrebbero portare a far suonare il file ancor meglio di un CD. I pochi prodotti italiani caricati in quella sezione sono spesso imbarazzanti a confronto di certe produzioni inglesi o americane. Anche questa è un falla culturale: è un po’ come mandare in stampa il disco su vinile usando il mastering fatto per la distribuzione su CD!

SP Quali consigli daresti alle nuove leve, a chi vorrebbe inserirsi in questo ambito lavorativo?

MS A mio parere bisognerebbe innanzitutto imparare ad ascoltare la musica, capire cosa ascoltare e come ascoltare. Conoscere le macchine e i loro collegamenti altrimenti non serve a niente, sono nozioni che servono solo a illudere, e sottolineerei questo termine, di conoscere un mestiere che in realtà è fatto di molto altro. Leggo spesso di studi e istituti che propongono corsi di mastering, ma a me sembra solo che si vendano illusioni. Il rapporto umano in questo lavoro è fondamentale e non si impara in nessuna scuola. I giovani recepiscono molto bene certe sensazioni e certi atteggiamenti, quelle sono cose molto importanti. I giovani sono interessati alla qualità, alla tecnologia, a voler imparare, mentre a rovinare questo settore molto spesso sono gli addetti ai lavori, che hanno perso di vista l’obiettivo della qualità e badano solo al budget.

Questo settore è fatto da tante persone che hanno una grande passione, ma c’è anche tanta gente che cerca solo di far soldi sulle spalle degli altri. Io ho avuto la grande fortuna di cominciare questo lavoro in un luogo eccezionale in un periodo eccezionale. Ho dato tanto ma ho anche ricevuto moltissimo.

SP Come è nata questa tua esperienza al mastering dei Forward Studios?

MS Mi trovavo in un periodo per me transitorio, nel quale avevo scelto di staccare un po’ la spina da un mondo che da un po’ di tempo non mi dava più gli stessi stimoli di un tempo. Dopo circa un anno di stop ho deciso di riprendere, riappropriandomi delle sensazioni a cui tenevo di più. Qui al Forward ho conosciuto Massimo Scarparo che mi ha parlato del suo progetto e insieme abbiamo cercato di capire come ci saremmo potuti collocare sul mercato. È così che abbiamo scelto di indirizzare lo studio verso produzioni di alta levatura internazionale, lavorando insieme per cercare di capire come certe grandi produzioni riuscissero a ottenere quel genere di suoni che tanto ci piacciono. Abbiamo passato circa due anni a fare questo genere di ricerca, testando tutto quello che era disponibile a livello tecnico.

Volevamo e dovevamo partire forte da subito, non potevamo permetterci di fare dei test usando i nostri clienti. Siamo arrivati a un risultato di cui siamo molto contenti, ma non saremo mai soddisfatti al 100%. Ora stiamo affrontando una fase di personalizzazione e di esclusività delle macchine, grazie alla collaborazione di due tecnici molto preparati ai quali stiamo suggerendo dei riferimenti per poter ottenere un certo tipo di suono. Tutto questo lavoro si dovrà tradurre in prodotti che, una volta sul mercato, faranno la differenza, perché poi le parole le porta via il vento. Purtroppo una volta che il prodotto è sul mercato, l’ascoltatore sente il risultato finale ma non riesce a comprendere quale sia stato il punto il di partenza.

Il principale vantaggio dei grandi studi di mastering internazionali è soprattutto di poter lavorare a produzioni che in tutto il loro iter sono state realizzate con grande attenzione alla qualità. È importante non farsi troppi scrupoli con i propri clienti nel segnalare eventuali problemi, perché il cliente apprezza di più dei suggerimenti di questo tipo piuttosto che un lavoro poco riuscito nel suo complesso. È anche per questo che è importante il rapporto personale, perché certe cose le puoi gestire solo a quattr’occhi. Ci sono situazioni che non sono nemmeno facili da spiegare, perché l’artista molto spesso ha una sensibilità diversa rispetto alle persone con le quali abbiamo comunemente a che fare. Non ci può limitare a descrivere il proprio operato parlando solamente di macchine, livelli e frequenze, bisogna lavorare sulle sensazioni e sulle emozioni, andando alla ricerca di ciò che è bello.

Forward Studios Marcello Spiridioni mastering intervista hardware stefano pinzi audiofader

Marcello nella mastering suite dei Forward Studios a Grottaferrata (Roma)