Dai progetti di Ru Catania ci si aspetta sempre qualche sorpresa, vuoi per il modo di produrre un pezzo, vuoi per le sperimentazioni sonore che utilizza in mix. È il momento di Delirium e della sua produzione.
Magnetica Leoni è un collettivo di musica elettronica che tende all’autarchia, anche per quel che riguarda gli aspetti grafici. Alcuni dei componenti risiedono all’estero da diversi anni, sparsi tra Bruxelles, Roma, Parigi e Berlino, e la nazionalità principale più che italiana è europea.
Luca Pilla Com’è nato il progetto di Magnetica Leoni?
Ru Catania In 10 anni di gestione dell’etichetta Lady Lovely (The Leading Guy, Galapaghost e altri) abbiamo lavorato su numerosi progetti e conosciuto molti artisti di diversi generi musicali. Ci è venuta voglia di avere un progetto elettronico aperto, libero, ispirato alla musica elettronica tedesca e francese, alla New Wave inglese, ma anche alle esperienze relativamente recenti di etichette americane come Sub Pop e Dim Mak, che non stanno ferme un secondo. Io sono stato lo zimbello di molti amici per anni, perché ci posso mettere un giorno a scegliere che microfono usare per quel determinato ampli, o quale plug-in usare per un semplice HPF. Magnetica Leoni punta a emanciparsi un po’ da questa voglia di perfezionismo e combinare invece un po’ di casino, sia da soli sia con i nostri amici sparsi per il mondo, e la formula elettronica più cloud si presta particolarmente al progetto. L’unica regola che ci siamo dati è che la registrazione dei brani non deve fare uso di VST. Non sono un purista e non voglio entrare nel (sacrosanto) argomento analogico contro digitale, ma questa assenza di VST di fare delle scelte timbriche che caratterizzano la produzione a priori. Restringe la tavolozza dei colori in un momento storico in cui si rischia di passare più tempo a scaricare gli ultimi plug-in usciti che a suonare e, credetemi, ne so qualcosa. Se hai due drum machine e quattro synth, utilizzi quelli, fine della storia. Per il mix invece abbiamo meno regole, alcuni brani sono stati mixati ITB (come nel caso di Delirium), altri su banco analogico e con riverberi a molla. Adoro entrambi i mondi. Per il momento ci stiamo muovendo su due fronti, la pubblicazione digitale mensile di brani originali e la preparazione di alcune uscite speciali sotto forma di remix o rework insieme ad artisti italiani come Bianco, Mao e Bongo Express, con i promettenti francesi Las Aves o altri musicisti indipendenti della scena belga.
LP Il basso è particolare, colpisce subito dalle prime note e accompagnato anche da elementi di synth. Come è stato ripreso ed elaborato?
RC Il basso è un Gibson G-3 del ’72. Lo comprai nel 2009 quando suonai con gli Africa Unite a Los Angeles perché tutte le chitarre vintage del Sunset Boulevard erano per me fuori budget. Tornato in hotel scoprii sul web che la produzione di quel modello era di qualche anno successiva e tornai in negozio scocciato per chiedere spiegazioni. Dopo mille ricerche, al negoziante cadde la faccia perché si rese conto di aver venduto una sorta di prototipo originale Gibson al prezzo delle patate. Quindi quello suona come un vero mostro già di suo. L’ho ripreso in diretta nel Golden Age Project Pre 73, che entra a cascata in una Focusrite Saffire Pro 40. In mix ho usato solo l’ampli da basso di Native Instruments Guitar Rig e in uscita il compressore Supercharger che Native Instruments regalava a Natale qualche anno fa. Il basso synth è stato realizzato con un PolySix. Anzi, in realtà con un microKorg nel quale sono state caricate le patch del PolySix. In una prima versione del brano il basso era in sidechain triggerato dalla cassa, ma poi sono andato in un’altra direzione e del sidechain sono rimaste poche battute di stacco passate in bounce per poi cambiare setup. La batteria elettronica e i synth impazziti erano lo scheletro della prima stesura del brano che ho ricevuto dai miei compari Brutus Magnet e Shiny D. Quindi in realtà il basso non è molto elaborato di per sé, ma è vero che ho passato un po’ di tempo per trovare la quadra di volumi ed eq tra basso vero e basso synth, ed è vero che dalla registrazione al mix (che conta canale, bass bus, brum & bass bus, Master bus) al mastering, ogni stadio ha la sua bella cromatura di compressione e/o distorsione armonica.
LP L’altro elemento suggestivo è la voce, che dà una sensazione di essere di corsa... mi racconti la channel strip, il microfono e la sua elaborazione successiva in mix?
RC AKG 414 vecchio di 25 anni, il primo microfono acquistato in vita mia. Catena, la stessa di prima, ovvero Golden Age Project Pre 73 dentro la Focusrite. In studio ho altri pre e altri microfoni, anche cose belle, ma l’urgenza espressiva ha avuto la meglio sul mio lato nerd e la catena Pre 73 + Focusrite comunque non tradisce. Al massimo mi capita di andare dritto nella Focusrite quando mi serve qualcosa di più cristallino. Nel 90% dei casi il mio sweet spot per il Pre 73, indipendentemente dallo strumento registrato, sono gli ultimi scatti del secondo range, cioè a -50 di pre, e l’output dove serve, giocandomelo con l’input della Focusrite che tengo non oltre la metà. La catena del mix ITB è a dir poco eterna e inizia con il VMR di Slate: VCC impostato su Brit-N, seguito da un FG-116 Modern, eq FG-N (i suoi medi mi fanno impazzire), un altro eq Custom Series e un altro FG-116 Vintage, per finire con un FG-Bomber. Tutta la catena si conclude con un Saturator Knob di Softube. Tutte le voci sono doppiate e aperte in un leggero stereo, aiutate da una Warm Room molto bella della Verb Suite Classic di Slate Digital. Ogni canale finisce poi in un vox bus controllato da un bx_limiter e da un Deesser eiosis, anche questo del famoso bundle di Slate Digital. Lo so, è un Frankenstein figlio della più sfrenata bulimia ma non posso farci nulla, mi è venuto così. Purtroppo e per fortuna, i miei primi album li ho registrati ancora su nastro analogico, questo mi permette di utilizzare l’editing delle DAW per scopo creativo e non come soluzione disperata al non sapere suonare otto battute di fila. Di bassi, batterie e voci non è stato editato praticamente nulla, e credo che questo faccia parte del suono e del gusto del brano. Le voci femminili sono di Valentina, che ha capito perfettamente l’intenzione che volevo e mi ha rispedito subito le tracce pronte per essere mixate. Negli altri brani le linee vocali sono per lo più sue.
LP La cassa e il rullante, altra particolarità: una cassa molto profonda ma secca, quasi a scomparsa sul mix, e un rullante iper elaborato.
RC Cassa, rullante e clap sono generati da una Roland TR-09, aggiustando il tune dove necessario. Il brano premixato è stato mandato al batterista salentino Antonio “Dema” De Marianis, che mi ha restituito le tracce separate di un’unica take non editata di batteria acustica. Ho sincronizzato alcuni colpi che flammavano un po’, ma per il resto ho lasciato tutto intatto, non ho rifatto la struttura, non ho creato loop, non ho sostituito nessun fill, non ho triggerato né creato layer. L’unica parte di quattro battute in cui c’è un copia-incolla è quella del ritornello, per il semplice motivo che preferivo la figura di hi-hat più incalzante tra due diverse versioni. Quello che senti è quindi un mix di TR-09 e di batteria acustica. Forse una cassa più incisiva avrebbe dato più pompa ma avrebbe anche messo in discussione l’attitudine punk di voce e basso. Sarebbero entrati in conflitto filosofico, più che di frequenze.
LP La parte di lead sintetico: come è stato suonato e realizzato?
RC I miei compari assetati di noise hanno suonato due assoli con un Roland JU-06 Boutique Series, sbattendomeli senza pietà uno a destra e uno a sinistra. Ho pensato fosse una dichiarazione di guerra e ho reagito tagliando e ricucendo senza anestesia per poi passare tutto nel fedele Guitar Rig, un canale in un Plexi, l’altro in un AC30.
LP Hai usato ProSonus Studio One come DAW, perché?
RC Premetto che sono un fan di Graham Cochrane e del suo RecordingRevolution, che dice che ormai tutte le DAWs sono buone, basta sapere dove mettere le mani. Ho utilizzato Pro Tools sin dalla versione 8, ma onestamente pur essendo la DAW più completa e precisa in assoluto, non si può certo dire sia snella, veloce, e intuitiva, almeno per me. Studio One l'ho seguito dalla versione 1 e, per quello che devo fare io, il workflow in generale è più fluido. Io mixo i miei dischi e quelli di altri, ma sono fondamentalmente un musicista, per me l'importante è riuscire a fare quello che mi viene in mente senza dover aprire ogni volta un manuale da mille pagine o impazzire sui tutorial di YouTube. La gestione delle diverse interfacce audio e degli I/O, i Bus e gli FX Channel, i recall dei preset, sono tutti molto intuitivi. Le funzioni di Export di mix, tracce e stems, sono molto complete, assolutamente indolori e velocissime. L’altra bella scoperta, anche se ancora con qualche bug, è senza dubbio lo Scratch Pad, che permette di provare e tenere aperti più arrangiamenti dello stesso brano lavorando a blocchi, senza perdere le idee ma evitando di fare delle schifezze sulla versione originale. Continuo ad usare Pro Tools quando lavoro per il mondo video, perché è in grado di scambiare OMF con chi sta editando il video, lasciandomi libero di lavorare sulle tracce originali. Oppure quando lavoro su progetti che so che prima o dopo passeranno in mano a qualcuno che usa PT. Uso invece Ableton Live quando lavoro per il teatro: non so altrove ma qui in Belgio è un must e per creare e pilotare i suoni per sonorizzare gli spettacoli è decisamente la via più pratica.
LP Parliamo della fase di mastering, realizzata da Mauro Andreolli a Trento, a cui lasciamo la parola.
Mauro Andreolli Una rapida premessa: anche quando i miei interlocutori sono i produttori o gli artisti stessi, richiedo che in fase di mastering sia coinvolto chi ha curato il mixaggio perché oltre alle sensazioni sul piano espressivo, mi interessa raccogliere e tenere in considerazione anche i feedback tecnici. Un mix engineer è particolarmente attento a certi dettagli che per i musicisti possono risultare di secondo piano ma è evidente che ogni sfaccettatura concorre alla composizione del risultato finale, spesso anzi sono proprio i particolari che fanno la differenza, e conciliare gli aspetti artistici con quelli tecnici rientra in pieno nell'area di mia competenza. Questo approccio estende le prospettive e rende possibile un miglior punto di arrivo ma qualche volta porta con sé alcune limitazioni: chi è reduce da intense full-immersion di mixaggio conosce a menadito ogni sfumatura del pezzo (che sia o meno conseguenza di precise scelte) e potrebbe aspettarsi di ritrovarla tale e quale anche nel master, riducendo di fatto i miei margini di intervento. La collaborazione con Magnetica Leoni è stata particolarmente stimolante perché ho avuto da Ru, che incarna artista e mix engineer, un'esplicita istigazione a delinquere, l'invito cioè ad adottare soluzioni più creative che filologiche. Ne ho quindi approfittato per mettere a punto un setup di mastering anticonvenzionale con cui dare una connotazione più personale a Delirium, meno prevedibile e oggettivamente corretta, se vogliamo. Tralasciando intenzionalmente i molteplici stadi di intervento impiegati, cito quello saliente: l'utilizzo di un The Culture Vulture equipaggiato con delle Sylvania vintage di fabbricazione USA in insert, soluzione che farà inorridire i puristi ma che si è rivelata cruciale per i suoi effetti sia timbrici sia dinamici sul suono generale che ha anche acquisito un considerevole sustain. Parentesi curiosa: i pentodi che introducono la saturazione armonica sono i 6AS6 che venivano impiegati nei radar Phantastron della US Navy nella seconda guerra mondiale, in allegato lo spettro di una sinusoide 440 Hz così come esce dal settaggio del The Culture Vulture messo a punto per Delirium... le radici bellicose di quelle valvole non hanno perso lo smalto."
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