Mettete i Niggaradio all’interno del cave studio, sotto la guida di Daniele Grasso e otterrete un sound di grandi dimensioni, contaminato ma non scontato. Soprattutto analogico e umano.
Luca Pilla: NiggaRadio: apri la pagina Facebook e trovi Folk, Blues, Techno n’ Roll, che è poi anche il titolo dell’album. Poi lo ascolti e ti entra dentro, prima di tutto per un suono pieno, vivo, contaminatissimo con il meglio dei sound che sono rappresentati. Una produzione di questa qualità non si improvvisa, sia nella parte di arrangiamento che nella realizzazione tecnica. Come è nata la produzione e come sei arrivato alla realizzazione nel tuo studio?
Daniele Grasso: Beh le idee e i suoni dietro questo disco (ma non solo di questo) vengono da molto lontano, dai due spiriti che da sempre si dividono la mia anima. Con una madre yankee e un padre sicilianissimo, cosa poteva venire fuori se non contaminazione. Contaminazione nelle strutture, nelle idee, nell'arrangiamento, nella produzione quindi nel suono tutto. FBT&R è il secondo disco di NiggaRadio e dopo gli ottimi consensi del primo ('Na storia - Dcave records) avevo le idee ancor più chiare sulla direzione da tenere. Un piede saldo nella tradizione, in termini di realizzazione del lavoro, con prese (poche) il più possibile live e insieme, scelte oculate di strumenti, spazi e microfoni e soprattutto parecchi paletti a limitare eccessi di produzione. Mi è sembrato naturale farlo a casa al The Cave, in quella che è stata la tana per molti progetti di amici (Greg Dulli, John Parish, Afterhours, Basile, Mancino) venuti da tante parti del mondo a far qui i loro lavori. Qui trovo le cose che reputo fondamentali alla riuscita di un lavoro, prima fra tutti la stanza, circa 110 mq di legno e pietra, con spessi muri del '700. Sì, è la stanza che mi da molto del suono che cerco. Insomma, niente di nuovo sotto il sole.
LP: Qual è stato il tuo ruolo nella produzione e come ti sei approcciato al mix, considerando un livello di contaminazione di generi simili?
DG: A me è stata affidata la produzione artistica e, come dicono molti miei amici, io sono A one stop shop, perché per me significa seguire tutto, dalla scrittura all'engineering, all'arrangiamento, al mixing. La fiducia nei miei confronti da parte dei miei compagni di viaggio (Andrea Soggiu l'omino elettronico, Vanessa Goldie Pappalardo alla voce e Peppe Scalia alla batteria) e un'interazione continua, hanno reso semplici anche passaggi molto articolati. I mix, che, a dirla col linguaggio di oggi, sono solo OTB (faccio fatica in altro modo) sono stati suonati con una realizzazione singola, un brano alla volta finché non era finito, convincente e aderente all'idea globale. Forse può sembrare anacronistico come modalità lavorativa, ma tant'è...La gestione delle famiglie è stata fatta considerando il tutto più una serie di insiemi che tanti suoni separati. Ecco che, dove i soundscape sono massicciamente presenti, diventano un unico suono raggruppato insieme, sia che fossero semplici drone o parti più articolate, così come la batteria diventa un tutt'uno ecc…
LP: Ho apprezzato moltissimo il lavoro sui piani sonori, dove c’è un evidente lavoro di strutturazione delle dimensioni, vuoi con i riverberi, vuoi con le scelte in fase di mix (Dimmi unni sì). Quali sono i riverberi e i delay che hai usato e qual è risultato il più incisivo?
DG: Qui è di nuovo la stanza che la fa da padrona, specie su batterie, percussioni, cori e anche altre cose. A volte sono proprio le distanze differenti fra un microfono (o un insieme di microfoni) e le sorgenti intorno a dare quel risultato. Quanto a riverberi e delay...beh ti farà ridere ma è un misto di cose strane. La mia macchina preferita qui è un vecchio plate EMT 240 (ogni tanto a far da predelay per lui ma non solo per questo, un bel BD 80 usato anche come modulatore), poi un vecchio Binson a transistor a cinque teste e... posso dirlo?!? Un altro echo a disco estratto da un mixerino Montarbo degli anni '70. Dimenticavo, una macchinetta molto trascurata, ma utilissima per le modulazioni (TC Fireworx). Il più incisivo dici? Beh il plate EMT, aperto su varie cose insieme spesso ha aiutato ad incollare il tutto, poi su certe voci non ha rivali. Chiaramente il tutto lavorato con grande attenzione, sia nel percorso dei segnali che nel trattamento (comp ed eq).
LP: Le chitarre sono eccellenti nel loro corpo e nelle modulazioni (Messinregola, Signuri): che interventi hai effettuato durante il mix? Hai rifatto alcuni take?
DG: Le chitarre...croce e delizia. Quanto è difficile fare dei suoni concreti e non precotti con le chitarre. Vari strumenti qui (Tele, Danelectro, baritono, mandolino ecc), ma il principale è una Gretsch acustica con pick up Fidelitron e ponte Bigsby, varie open tuning e ripresa nelle due componenti, acustica e elettrica. Per la parte acustica amo e uso un microfono che sembra qui sconosciuto ai più, un AKG C61 che mette insieme la precisione della capsula piccola e il calore delle valvole. Per la parte elettrica ho usato spesso piccoli ampli valvolari (Harmony, Dynacord) e non ho disdegnato spesso saturare l'ingresso del banco e non solo. In mix una mia ossessione è non perdere il corpo delle chitarre, troppo spesso le sento in giro per dischi, svuotate del contenuto, dello spessore, a favore di estreme di nessuna utilità. Quindi ho badato principalmente che le prese fossero rispettate e che mantenessero il loro ruolo nel mix per frequenze e dimensioni e dinamica. Poco eq e compressione FET quanto basta.
LP: Basso e cassa sono un altro punto distintivo, che entrano nella testa in pochissimi secondi: come hai ottenuto la spazialità e il corpo del basso? Quali sono stati i compressori usati sulle casse?
DG: Il basso è per me elemento centrale. Gregario che cuce, protagonista che canta. Sia nel caso di synth bass che di basso elettrico, il passaggio attraverso un ampli è stato importante anche se coadiuvato spesso da un segnale prelevato con una load box e un passaggio della sezione alta del suono su un piccolo ampli per chitarra lievemente saturato. Attenzione alle fasi, poca compressione e il tutto passato in uno dei miei rifacimenti Pultec. Per le casse storia differente. In questo disco raramente più di un microfono, di solito un STC omni del '35 (ball 'n biscuits) in alternativa o a supporto un Electro-Voice RE20, di solito compresso con un Chandler Little Devil, più a disegnarne l'inviluppo che altro.
LP: La scelta di trattare la voce nei pezzi è molto particolare, diventando presente quanto uno strumento musicale, rispetto a quanto si sente normalmente nelle produzioni italiane. Come le hai filtrato, equalizzate e compresse?
DG: Ah, la voce...quando la voce si fa elettricità (e non ha un ruolo documentaristico) allora tutto vale. Diventa, come giustamente noti, strumento musicale dotato di parola. Niente correzioni qui, né di tuning né di timing. Il microfono principale un RCA DX 77 affiancato da un Electro-Voice RE20 (quest'ultimo da maltrattare già in presa). La traccia main doppiata. Sulla traccia principale, un Teletronix portato ai limiti della saturazione e poi ripulito comprimendo anche pesantemente, lieve eq dell'Harrison con HPF intorno ai 150 Hz e lieve presenza alla bisogna. Sulla copia un Urei 1176 comprime molto con un rilascio lungo e un HPF molto alto filtra via gran parte del corpo, una presenza aggressiva intorno ai 5 kHz, da aggiungere quanto basta (in una sorta di Motown Trick) alla traccia principale. Slap back delay compresso e filtrato sui brani più veloci, poco plate o nulla sui più larghi.
LP: I sintetizzatori e la parte elettronica è stata evidentemente processata per ottenere un suono pienissimo, analogico e quasi distorto: che accorgimenti hai utilizzato per trattare le tracce originali?
DG: Anche qua, resistere alla tentazione di tenere tutto in linea è stato elemento fondamentale. I lead passati spesso per un micro ampli e con dei pedalini nel mezzo. I subgroove (spesso nostri acustici e cannibalizzati) direttamente sul pre microfonico del banco (opzione ping). Dei synth bass avevo detto prima.
LP: Il bus di batteria, per indicare l’insieme degli strumenti, è molto particolare: il suono è qualche volta lo-fi, un effetto ricercato, ma senza essere povero o perdere informazioni. Come lo hai realizzato?
DG: La batteria tutta è stata registrata con non molti microfoni e la maggior parte non molto vicini. Come sono solito fare, già in presa ho cercato di caratterizzarla. Una delle armi segrete è stata un mixer/pre a cinque canali della Geloso, il G- 290 V. Una macchina professionale (all tube e point to point) degli anni '50, anche questa sconosciuta, amorevolmente restaurata e dal suono insospettabile e fortemente caratterizzante. è lei la responsabile principale in presa e mix del suono di cui parli. Il tutto passato in una coppia di Gain Brain e di rifacimenti Pultec.
LP: Parliamo di mastering: dove è stato realizzato e con quale filosofia? Come si è arrivati al vinile?
DG: Com'è quella frase? Ah si, l'eccellenza italiana. Giovanni Versari è un'eccellenza italiana. Avrò cominciato a lavorare con lui all'epoca dei primi due dischi fatti con Cesare Basile circa 18 anni fa, lui lavorava ancora al Nautilus. Poi l'ho ritrovato con un suo studio, La maestà, e da lì all'affidargli i lavori che faccio è stato un attimo. Quando finisci un lavoro che hai seguito dalla scrittura alla produzione al mix, quello che vuoi è allontanartene, affidarlo a qualcuno che sai capirà quello che gli hai scritto in due righe sul suono e che lo porterà ad un livello diverso, atto a esser fruito da tutti. Non mando stem, tracce separate, non voglio un additional mixing e tutta quella serie di cose che in questi anni sembrano confondere ruoli e lavori. Quel che gli chiedo è di rispettare il mix (se l'ho mandato è perché lo ritengo giusto), di esaltarne i pregi e di ridurre i difetti e, nei limiti del possibile e nonostante i tempi che corrono, di non farne marmellata. Lui mi rimanda un paio di versioni a brano e raramente devo chiederne altre. Stessa cosa per il vinile che ci sembra, per molti motivi, salvifico per alcune musiche, di sicuro per quella di NiggaRadio. Un'altra cosa che apprezzo di Giovanni è il suo atteggiamento quasi riservato, nonostante la cura e la dedizione al lavoro. In un'epoca in cui spesso sento, leggo affermazioni di operatori del settore che esaltano le loro qualità a detrimento di chi gli affida, ben pagandoli, i propri lavori. Mi sembra un’ulteriore qualità non da poco.
LP: Il Dcave dove lavori ha una lunga storia e soprattutto un setup che si sposa con il sound di Nigga Radio. Quali sono stati gli elementi hardware indispensabili per avere quel sound?
DG: è una bella domanda...(ah, The Cave è lo studio, Dcave la label) a volte mi sembrano indispensabili cose che ai più possono sembrare superflue. Restiamo su cose concrete. La console Harrison. Dopo decenni di Neve, tre anni fa abbiamo deciso di cambiare console...mi era successa la stessa cosa tanti anni prima, da gibsoniano e quindi humbucker sono diventato fenderista e quindi single coil (i chitarristi mi capiranno). Eravamo stati alla ricerca di una Helios (ma sembra che gli americani le abbian tutte loro) ed era difficile trovarne a un prezzo sensato e anche la ricerca di altre (Sphere ecc) vecchie console americane sembrava difficile, poi abbiamo trovato questa meravigliosa Harrison 28/24 rev C. Il banco per me è fondamentale, suona e fa suonare, ha e imprime un carattere. L'EMT Plate 240 di cui sopra, il Teletronix, l'AKG C 61, l'RCA DX 77, il pre-eq Helios e per non sembrare uno che per fare un suono nuovo usa solo cose antiche ho trovato speciali due macchinette contemporanee, il compressore Dragon del tanto bistrattato Slate che da punti a molti FET dal nome "universale" e l'Xpressor di elysia...da non scordare le Auratone. Ma realmente l'hardware più importante a The Cave è la componente umana e l’immenso amore per la musica e l’arte della musica registrata che ancora oggi con dedizione e sacrificio consente di lavorare dischi in un modo forse antico ma certo concreto reale. Quindi grazie principalmente a Rosy, Maruska, Carla, Matteo.