I monitor a sei e sette pollici a due vie, considerati come nearfield e usati a poca distanza dal punto di ascolto, sono una categoria piuttosto particolare di ascolti. Abbiamo messo in prova Dynaudio, EVE Audio, Fluid Audio, HEDD, KRK, Mackie e Phonic.
I sei e sette pollici sono una buona scelta quando si cerca di avere un’immagine sui bassi più precisa e potente, senza avere un eccessivo buco sui medi che accade quando si usano woofer più larghi di diametro in un sistema a due vie. Come immaginavamo fin dall’inizio, ogni produttore ha la sua ricetta e non c’è un monitor che sia uguale all’altro. Ognuno ha identità costruttive e progettuali a volte molto differenti, con un suono che è spesso un marchio di fabbrica e trova estimatori in generi musicali diversi. Abbiamo messo a confronto sette monitor, tutti con woofer da sei pollici a due vie in modalità bass reflex: Dynaudio LYD7, EVE SC 207, Fluid Audio FPX7, Hedd Type 05, KRK Rokit 6, Mackie Reveal XR624 e Phonic Acumen 6A. Abbiamo volutamente lasciato i dati tecnici a una tabella riassuntiva, per concentrarci sulle performance sonore e sui controlli. Tutti i monitor sono stati provati con i disaccoppiatori DMSD 60 in uno studio acusticamente trattato.
Dynaudio LYD 7
La nuova serie LYD di Dynaudio appare dopo alcuni anni di silenzio sul mercato pro. Nata con colore bianco, ora disponibile anche in nero, attualmente include tre modelli a due vie e uno a tre vie compatto. Il tweeter, un soft dome, è stato completamente riprogettato e il cono del woofer è in alluminio. La porta del bass reflex è accolta nella parte posteriore ed è smussata per evitare vibrazioni. I controlli posteriori includono uno switch per la sensibilità (-6 dB/0/+6 dB), uno switch per controllare un filtro per i bassi (-10/0/+10 Hz), uno switch Sound Balance che controlla la risposta in frequenza con tre curve (Bright, Natural, Dark) e uno switch per modificare l’equalizzazione quando il monitor ha un muro a 50 cm dietro di sé (Wall/Free). Abbiamo provato tutti e tre i modelli a due vie e, senza incertezza, LYD 7 è risultato il più bilanciato e interessante dei tre. Potete leggerne il test a questo link https://www.audiofader.com/test-dynaudio-lyd-7-suono-tridimensionale/. Tutta l’elettronica è gestita da un DSP che lavora con un convertitore AD a 96 kHz - 24 bit.
In prova
Le LYD 7 si sono rivelate una sorpresa: sweet spot molto ampio, con una risposta stereofonica molto naturale e una risposta in frequenza altrettanto musicale e analitica. A differenza di quasi tutti i monitor a due vie, il crossover a 4300 Hz fa lavorare maggiormente il woofer e ritaglia uno spazio al tweeter più rilassato. Ne risulta un suono naturale, mai compresso o con incertezze di sorta, malgrado l’amplificazione in Classe D che, qui, è meno evidente che in altri monitor. Infatti le LYD 7 sono tra i monitor più tridimensionali che si possano incontrare, quasi da amplificazione in Classe A/B. Le LYD 7 non risparmiano critiche a mix non ben eseguiti: riconoscere se una voce è troppo dentro o fuori dal mix è un gioco da ragazzi, come pure la qualità dei piatti, dei riverberi e gli eventuali problemi di comb filter sulle medio alte. Sono tra i pochi monitor molto piacevoli da ascoltare senza perdere in dettaglio e, sul mix, traslano bene, con un’ottima compatibilità con altri ascolti. L’equilibrio timbrico è mantenuto anche ad ascolti a bassi volumi, un’altra eccezione tra i monitor a due vie. Il woofer è generoso per le basse frequenze e questo comporta una maggiore attenzione all’acustica dell’ambiente in cui sono inserite. In studi ben trattati, i risultati sono tra i migliori di sempre: dinamica, realismo, dettagli, code dei riverberi e corpo degli strumenti sono tutti facilmente identificabili. Le medie sono sempre molto ben rappresentate e non soffrono dei problemi di fase del crossover, avendo un taglio alto. Il comportamento del monitor è indifferente al genere musicale, indice di affidabilità e flessibilità. Lavorano bene sia con musica acustica che elettronica, passando per qualsiasi genere musicale. Globalmente è stato mantenuto il sound Dynaudio, anche se queste LYD appaiono più equilibrate sulle alte frequenze e senza alcun buco sulle medie. La costruzione è eccellente. L’unico dubbio sono i controlli posteriori: avremmo preferito avere una gestione migliore delle alte e delle basse frequenze. Sound Balance sembra una buona idea ma per un monitor di questa qualità è insufficiente per il tuning del monitor all’interno dell’ambiente. Per fortuna la risposta in frequenza e la risposta dinamica è equilibrata, quindi una volta installati in un ambiente trattato acusticamente, le LYD 7 sono in grado di sprigionare una gran bella potenza senza soffrire di distorsioni anomale o deficit di amplificazione. Se si sbaglia la posizione di installazione, si rischia di soffrire di un eccesso di basse frequenze per i nodi che si creano.
In sintesi
Se vi capita di poter provare i monitor LYD a due vie, andate dritto alle LYD 7 per la qualità che raggiungono. Se le 5 vanno bene per un confronto con piccoli monitor e le 8 soffrono di troppa esuberanza sulle basse frequenze, le LYD 7 sono il progetto migliore tra le due vie di Dynaudio, adatte a qualsiasi genere musicale.
Eve SC 207
Da tempo EVE Audio, in Germania, è impegnata a proseguire l’esperienza dei monitor con tweeter a nastro, seguendo il solco della prima parte della vita di ADAM. Le SC 207 usano un tweeter a nastro AMT RS2 con un woofer da 6,5 pollici a nido d’ape, quindi scendono maggiormente rispetto agli altri monitor. Caratteristica delle SC 207 è l’uso del DSP interno che consente di gestire diversi parametri con l’encoder anteriore dotato di LED che si illuminano a tre livelli per identificare con grande precisione il valore del parametro. Il DSP impiega un convertitore A/D da 192 kHz - 24 bit di Burr Brown che invia poi il segnale direttamente ai due amplificatori in Classe D. I controlli permettono di gestire il volume (-inf/+6 dB), il filtro High Shelf a 3 kHz (-5/+3 dB), il filtro Desk Boost a 80 Hz (0/+3 dB) e il filtro Desk Cut a 170 Hz (-5/0 dB) e il Low Shelf a 300 Hz (-5/+3 dB). La costruzione è eccellente, robusta e realizzata con ottimi materiali. La porta bass reflex è posteriore e sulla parte alta, senza angoli per ridurre il livello di vibrazione ad alti volumi.
In prova
Fin dal primo ascolto si apprezza un ottimo equilibrio tra medie, alte e una esuberanza sui bassi che è però piacevole e non disturba più di tanto coprendo le medie. Il tweeter non è duro o esagerato nella sua riproduzione sonora e partecipa all’immagine tridimensionale naturale, mai esaltata come accade per altri monitor con tweeter che, a volte, appaiono troppo artificiali. Il tweeter narra i transienti come si ci aspetta: grande velocità, precisione e decadimenti mai granulari. Se ne ottiene una immagine del suono ricca di dettagli, superiore in genere a monitor di queste dimensioni. Il woofer si ritaglia una bella fetta di precisione sulle frequenze al di sotto dei 250 Hz, con descrizioni precise della cassa e del basso, che possono essere ascoltate facilmente e senza squilibri nel segnale anche a volumi molto bassi: un vantaggio non scontato. Molto del lavoro del woofer e della porta posteriore del bass reflex è dipendente dalla qualità del trattamento acustico nell’ambiente in cui si posizionano. Il nostro studio non pone problemi di sorta e, rispetto ad altri monitor di stesse dimensioni, il posizionamento è stato immediato e molto facile. Le SC 207 hanno alcuni campi di applicazione in cui eccellono: la musica acustica, classica e il jazz sono riprodotte con un fascino e un dettaglio piacevole e il woofer chiude il cerchio verso le prime ottave con una descrizione di timpani, strumenti percussivi, contrabbassi, viole e casse molto veritiere. La loro risposta dinamica è fedele all’originale: un pezzo ben masterizzato e rispettoso della dinamica è riprodotto con ottima definizione e contrasto. Al contrario, quando si entra nella dance o nell’EDM, le SC 207 tendono a essere più difficili da ascoltare e non scontano mastering eccessivi, rendendoli evidenti e stridenti. In questi frangenti, considerando che spesso i bassi sono prolungati e le casse allungate, la potenza del cono deve essere tenuta ulteriormente sotto controllo e, temiamo, in ambienti non acusticamente trattati, le SC 207 potrebbero dare qualche problema di troppo (come per tutti i monitor che scendono molto in basso). Il progetto globale è molto ben riuscito e, tra i molti vantaggi, è la precisione che colpisce: ecco comparire, in casi mastering eccessivo o di mix poco controllati, la distorsione sulle sibilanti o le distorsioni da clipper in catena analogica o digitale. Non sono certo i monitor su cui ascoltare MP3 o streaming, perché tutti i difetti della compressione psicoacustica sono immediatamente raccolti da un orecchio allenato. Per inciso, questo è un pregio importante per un monitor. L’amplificazione è sufficiente ma non così potente come avremmo voluto. La regolazione del livello d’ascolto, tra i più precisi che abbiamo mai visto su un monitor grazie alla corona di LED, si ferma appena sotto al +2 quando vogliamo equiparare la sensibilità d’ingresso con l’SPL rispetto ai nostri monitor di riferimento. Rimane ancora un po’ di headroom, che è cosa positiva, ma, come per quasi tutti gli altri monitor, ormai sembra un dato di fatto che l’amplificazione sia sottodimensionata rispetto al passato, costringendo ad alzare il livello d’uscita dei monitor per tornare ai livelli standard. La costruzione è ottima, senza alcuna sbavatura e mantiene alto il prestigio di EVE Audio.
In sintesi
Eve Audio ha molti monitor audio nel suo catalogo: le SC 207 sono strategiche. Mantiengono tutta la precisione del tweeter, senza essere sfrigolante o duro, con una bella rappresentazione sulle medie e un surplus di basse frequenze che aumentano la qualità globale d’ascolto, senza ricorrere a un subwoofer se non per effetti particolari. Ci sono piaciute per avere raggiunto un equilibrio tra potenza, rappresentazione nel range di frequenza, dinamica e precisione che non era affatto scontata considerando che sono monitor a due vie. Se cercate un salto di qualità rispetto ai modelli a 5 pollici, le SC 207 possono essere un’ottima risposta a nuove esigenze di monitoring di qualità, soprattutto nella musica acustica, jazz e classica, ma anche nel pop e nel rock.
Fluid Audio FPX7
Diamo il benvenuto a questa nuova azienda, creata da Kevin Zuccaro che ha lavorato, in precedenza, per JBL negli anni '90 e per i monitor amplificati M-Audio dal 2005. Kevin fonda Fluid Audio nel 2011, dedicata alla produzione di monitor audio e sistemi d’ascolto, come il piccolo Strum Buddy per chitarra. Tre sono le linee di monitor in produzione: serie Bluetooth, serie Classic, serie Fader e serie Fader Pro, quest’ultima con un monitor particolare come FPX7, che ha anche un prezzo contenuto. La particolarità di FPX7 è di avere un tweeter a nastro AMT (lo stesso della prima produzione ADAM) concentrico al woofer, inserito in una guida d’onda, con una forma del cabinet in multilaminato MDF che accompagna le curve del woofer con angoli smussati. Il woofer è realizzato in materiale composito, mentre il tweeter è un classico tweeter a nastro. A differenza di ormai tutti i monitor a due vie, l’amplificazione per tweeter e woofer è in Classe A/B, quindi ancora analogica, con il punto di crossover controllato da un DSP. FPX7 include sistemi di protezione per limitare la corrente d’uscita, il surriscaldamento, i transienti e un filtro subsonico. I controlli sono minimali: uno switch per il trim delle alte frequenze (+2, 0 e -2 dB) e uno switch per il controllo del parametro Acoustic Space, un filtro Low Shelf a 200 Hz con valori di 0, -2 e -4 dB. Anteriormente è presente un piccolo fader per definire il volume da –infinito a 0. Il logo Fluid Audio si illumina quando il monitor è accesso e c’è segnale in ingresso: dopo 20 minuti di assenza di segnale il monitor va in stand-by. Non ci sono porte per l’eventuale upgrade del firmware del DSP interno.
In prova
L’aspetto deludente del progetto è l’amplificazione: è semplicemente insufficiente per coprire la dinamica quando si lascia il volume al massimo con una uscita di linea bilanciata a +4 dBu, con tanto di hiss sulle alte frequenze che si apprezza al massimo del volume. Ne consegue che occorre abbassare il livello dell’amplificatore sulle Fluid per garantirsi una sufficiente headroom o si arriverà presto a distorsioni evidenti e all’inserimento del limiter anche quando non desiderato. Purtroppo ne risentirà il livello d’ascolto, che dovrà essere un po’ più basso rispetto a monitor di dimensioni simili. Per alcuni questo può essere un limite, per altri, abituati a lavorare a livelli medio bassi, non sarà un problema. La distorsione, con livello a 0 e ingresso a + 4 dBu, è facilmente percepibile anche sulle medio basse frequenze, quando si cerca di arrivare all’intera potenza. L’ascolto mostra due aspetti molto peculiari: il tweeter a nastro garantisce una distribuzione stereofonica di ottimo livello sulle medio alte, molto stabile ed estremamente dettagliato al centro, più coerente di altri monitor. Il pregio del tweeter a nastro è evidente, come sempre, nei microdettagli della voce e degli ambienti. Ciò che comprendiamo meno sono una serie di risonanze sulle medie, che si palesano intorno ai 500 Hz, che è più o meno evidente secondo lo stile musicale e determina il carattere timbrico dei monitor. In alcuni casi permette di essere più analitici, ma in altri diventa un potenziale problema. Il woofer fa il suo lavoro onestamente e, accoppiato al sistema bass reflex, garantisce una risposta che scende bene fino a 45 Hz, che non è affatto male date le dimensioni. Come monitor non sono particolarmente adatti a colonne sonore o musica classica. Nel rock tendono a schiacciare la dinamica quando si sale di volume. Diventano più interessanti nell’hip hop e nella dance, malgrado una risposta non del tutto lineare. La rappresentazione delle voci è il suo punto di forza, assieme alla granitica rappresentazione del centro della stereofonia, che non lascia spazio a dubbi nelle scelte di mix. La risposta ai transienti sulle basse frequenze è sufficientemente dinamica, la rappresentazione dei piatti è iperdettagliata come si conviene a un tweeter a nastro. Nella dance e nell’EDM, pur non avendo molta potenza a disposizione per spettinare la platea in studio, offrono un buon equilibrio e facilità nel raggiungere i risultati. La presenza di alcune risonanze sulle medie allontana le Fluid dal jazz e della musica acustica o classica: certo un ascoltatore non educato all’ascolto critico le troverà eccellenti, per come porta in avanti le voci, ma in studio queste alterazioni dell’equilibrio sono più evidenti. Si perde anche calore in brani registrati in analogico o ricchi di colori, per la preponderanza del tweeter che, nel nostro studio, abbiamo sempre tenuto a -2 dB per un maggiore equilibrio.
In sintesi
Se siete DJ producer, invischiati nell’EDM e nella dance in genere, con un setup tipicamente digitale, queste Fluid si sposano al vostro modo di concepire il suono con naturalezza. Se invece siete fonici di lungo corso, lavorate nel jazz, nell’acustica e nel rock, potrebbero non essere la vostra prima scelta. Vale comunque la pena di sentirle, per farsi un’idea del suono che derivata da una soluzione coassiale, in bass reflex e con tweeter a nastro. Da rivedere l’amplificazione. Prezzo interessante considerata la qualità dei risultati.
HEDD Type 05
HEDD nasce da Klaus Heinz che per anni ha lavorato in ADAM e ha sviluppato una serie di monitor con tweeter a nastro che, a buon diritto, si sono ritagliati uno spazio nella comunità dei monitor professionali in breve tempo. Le Type 05, che abbiamo provato su Audiofader 6, sono monitor professionali di alto livello. La costruzione molto precisa, il nuovo tweeter a nastro assemblato a mano in Germania e inserito in una guida d’onda, spostano le Type 05 negli studi pro. I controlli prevedono un potenziometro per la sensibilità (-30/+6 dB), un shelving a 50 Hz con trimmer a +/- 4 dB e un shelving a 20 kHz sempre a +/-4 dB con trimmer. HEDD ha inserito nei suoi monitor anche uno slot opzionale per inserire connessioni AES3/EBU, Dante o Ravenna (AES67).
In prova
HEDD ha aggiornato, rispetto al nostro test originale, la sensibilità di ingresso che ora è stata posta, di default, a un livello corretto. Il suono di questi monitor è in una classe a parte: precisissimo grazie al tweeter a nastro, ma senza quell’eccesso di alte frequenze che per alcuni era fastidioso (ma per altri era una manna dal cielo) ed era presenta nei modelli di alcuni anni fa, descrive con grande naturalezza i microdettagli anche sulle medie senza essere troppo duro o invadente sopra i 10 kHz e ha nel woofer e nel disegno delle due porte bass reflex un’arma in più per descrivere gli inviluppi di cassa e bassa senza difficoltà alcuna. La riproduzione dinamica è ottima sotto tutti i punti di vista, aiutando molto nel mix nelle scelte di modulazione dinamica. Si capisce che il progetto ha richiesto molto tempo, perché l’accordo tra bass reflex e woofer è tra i migliori di sempre, creando un sistema che scende verso le prime ottave senza alcuna incertezza. La risposta in frequenza full range richiede quindi un approccio attento al posizionamento e le migliori performance si hanno in ambienti trattati acusticamente. Non ci sono invece problemi per focalizzare i piani sonori orizzontali e verticali, con un hot spot che consente di spostare la testa senza perdere il focus. Le Type 05 sono adatte a qualsiasi genere musicale, grazie alla loro neutralità timbrica. Che sia musica classica o hip hop, jazz o EDM, colonne sonore o pop, le Type 05 sono compagne analitiche e potenti in fase di mix. Che poi l’ascolto sia anche molto piacevole, è il corollario di un progetto tra i meglio riusciti degli ultimi anni.
In sintesi
Le HEDD Type 05 sono una scelta importante per uno studio. Il loro prezzo è ottimo, considerando le qualità timbriche, costruttive e i risultati che si ottengono. L’eccellente costruzione e un progetto moderno le rendono una scelta che dura nel tempo e che difficilmente sarà abbandonata anche in futuro.
KRK Rokit 6 G3
KRK è da sempre molto inserita nel circuito hip hop e dance, tanto che il suo woofer giallo è spesso avvistato in molti studi di produzione, piccoli o grandi che siano. Rokit 6, giunta alla terza generazione, utilizza un cono da 6 pollici in materiale composito che include anche fibra di vetro, mentre il tweeter è un soft dome inserito in una guida d’onda. Gli angoli del cabinet in MDF sono smussati. I controlli, tutti posteriori, includono la gestione separata del livello delle alte frequenze e delle basse frequenze tramite selettore (-2, -1, 0. +1, +2 dB), e del volume (-30/+ 6 dB). Incluso lo standby automatico dopo 30 minuti. KRK non fornisce le curve di risposta o altre informazioni circa la frequenza del filtro per le alte e basse frequenze.
In prova
KRK è ormai una garanzia: non appena esce il suono dalle Rokit 6, si coglie immediatamente il classico sound KRK che non è cambiato, ma anzi migliorato, rispetto alle versioni precedenti, nella descrizione dei dettagli e nella rappresentazione stereofonica. La forza del suono KRK è l’equilibrio nel range di frequenze e la risposta dinamica precisa e netta. Pur avendo un suono che tende a esprimere maggiormente le medie frequenze, senza intubare il mix, l’equilibrio è buono per qualsiasi genere musicale e ha una tridimensionalità sconosciuta ad altri monitor da 6 pollici, probabilmente per merito dell’amplificazione in Classe A/B. Il campo stereo è molto ben rispettato ed equilibrato. Che sia rock o hip hop, le Rokit 6 sono al servizio del mix, sia in equalizzazione che in compressione o limiting. La loro tridimensionalità aiuta nel pop quanto nel rock. La scelta di non esaltare le basse frequenze è più che condivisibile: niente effetto loudness e niente percezione spettacolare, a favore di uno strumento di lavoro analitico e preciso. Nel campo delle colonne sonore e della classica è richiesta una maggiore spinta sulle basse frequenze che può essere ottenuta facilmente con un +2 dB sui bassi dal controllo posteriore. Quando si parla poi di dance ed EDM, le Rokit 6 non smentiscono la fama di KRK. Sono uno strumento di lavoro dettagliato e onesto per questi generi musicali. Seguire cassa e basso insieme non è un problema e l’arrangiamento è rappresentato soprattutto a livelli di ascolto medio alti. Esprimono il meglio di sé a livelli di ascolto piuttosto elevati. Sono i monitor giusti per non perdere per strada dettagli importanti, senza mai esaltare quella parte bassa dello spettro che potrebbero facilmente raggiungere perché arrivano con facilità ai 40 Hz. È evidente il lavoro di KRK per mantenere un equilibrio più neutrale e più adatto al mix. Per il professionista, le Rokit 6 rappresentano il migliore esempio di qualità costruttiva e timbro a un prezzo entry level. Nell’hip hop c’è più materiale da gestire nelle medie rispetto agli altri monitor provati, il che permette un maggior controllo sul mix finale e sull’arrangiamento in genere. Non ci sono difficoltà di sorta per il mix di piatti acustici o elettronici. Il lavoro sulle voci è particolarmente facilitato ed evita i problemi di granulosità o sovrapposizione delle voci.
In sintesi
Non ci sono sorprese nella terza serie di Rokit, solo un affinamento nei dettagli che mantiene, comunque, le stesse qualità di traslazione del suono e di bilanciamento che hanno dettato il successo di KRK in questi anni. Adatte per studi di produzione di medie e piccole dimensioni, soprattutto orientate all’hip hop e all’EDM, le Rokit 6 sono monitor su cui poter far affidamento per un buon mix finale, seguendo la tradizione di KRK.
Mackie Reveal XR624
Benvenuti nel concetto di suono americano, ricco di basse frequenze e medio basse, con medie solide e alte frequenze leggere. Le XR624 hanno un timbro che si sposa con il modo di ascoltare musica negli Stati Uniti: se non avete mai avuto l’occasione di viaggiare in auto, ascoltare musica dal vivo nel club o in un home theatre negli USA, l’ascolto delle XR624 può lasciare interdetti. Il progetto è classico: cabinet in legno multilaminato MDF, woofer in Kevlar e tweeter in alluminio inserito in un ampia guida d’onda. I controlli sono essenziali: switch per -3 dB a 45 Hz o 80 Hz, shelving per le alte a 10 kHz a +/-2 dB, un filtro Acoustic Space che agisce sui 100 Hz con posizione a -2 e 4 dB e un trimmer per la sensibilità d’ingresso. Inclusi nella confezione ci sono dei pad soffici per isolare i monitor dalla superficie. Il peso è tra i più alti in monitor di questi dimensioni. Presente un circuito di standby. Sul retro del pannello è riportato un piccolo schema che indica come impostare gli switch in base alla posizione dei monitor rispetto al posto di lavoro. Un LED anteriore indica la presenza di segnale e gli eventuali clipping, gestiti con un HPF per i clipping sulle basse frequenze e un limiter.
In prova
Le XR624 sono il contrario della tendenza di questi anni: non portano tutto avanti gli strumenti e la voce. La rappresentazione sonora è portata all’altezza dei monitor e non viene proiettata più avanti (in your face, direbbero gli americani). L’equilibrio timbrico è più focalizzato sulle medie e sulle basse, senza però essere intubato o confuso sulle medio alte. Il woofer lavora bene e senza incertezze, sicuramente aiutato da una disegno del bass reflex ben riuscito. Sulla musica acustica e sul jazz esce evidente il basso, la voce e qualsiasi strumento che sia nello stesso range della voce. Nel rock, da quello classico al più recente, le Mackie suonano talvolta quasi live: cassa e basso sparate davanti all’ascoltatore, voce ben distinguibile e in primo piano rispetto agli altri strumenti. Un po’ più difficile, in queste condizioni, seguire le alte frequenze, che sembrano non esprimersi al massimo: fa parte, se vogliamo, del concetto di sound americano. Quando si passa a mix molto ricchi di basse frequenze c’è da stare attenti per non ingolfare il mix, portando talvolta a tagliare intorno ai 200 Hz anche quando non occorrerebbe. Lo si coglie soprattutto nella musica classica e nelle colonne sonore, che non sono il punto forte di questi monitor: una certa confusione sulle medio basse porta a perdere il dettaglio sulle medie più importanti, descrivendo il pezzo in modo più confuso e poco d’impatto. Quando però si passa all’hip hop e alla dance, o in generi con pochi e ben definiti strumenti, le XR624 recuperano terreno con un bell’impatto sui bassi sintetici e sulle casse tipo 808 o 909. Sembra quasi che ci sia una priorità tra gli strumenti: prima si esalta il basso, poi la voce e infine le altre tracce nel range della voce. La rappresentazione delle basse frequenze è mantenuta sia a bassi che ad alti livelli d’ascolto, candidandole a lavorare a volumi contenuti. È impossibile perdere traccia della cassa e del basso anche a livelli di ascolto intorno ai 55 dB (A). Questa flessibilità è valida anche per l’hip hop, che probabilmente è il punto di forza di queste Mackie: l’arrangiamento dei pezzi è esaltato nelle colonne del basso e della cassa, con una buona spazialità stereo ma un’immagine tridimensionale quasi assente. Nell’EDM avrete grandi soddisfazioni: molto facilmente si riesce a riprodurre l’ascolto in club, ricchissimo di basse, con i dettagli armonici di cassa e bassa più evidenti rispetto agli altri monitor. Ci vuole una maggiore attenzione nel posizionamento dei monitor nell’ambiente, che richiede qualche attenzione in più rispetto ad altri monitor di cubatura simile. Ultima nota: i monitor tendono a trasmettere molto facilmente le vibrazioni sulla superficie. Non a caso Makie ha inserito di serie un supporto in gommapiuma molto poroso e soffice.
In sintesi
Se siete sintonizzati con il vostro orecchio sul sound americano, le XR624 sono i vostri monitor per il rock, l’hip hop, l’EDM, il pop e il country. Non sono adatti a colonne sonore, ad ascolti ad altissima fedeltà o per la musica classica. Il loro punto forte è la rappresentazione delle basse frequenze. L’equilibrio timbrico spostato verso le medio basse risente di questa scelta palese e, aggiungiamo noi, evidentemente voluta.
Phonic Acumen 6A
Siamo nel campo dei monitor entry level, pur con una buona costruzione. Il tweeter, per esempio, è al neodimio inserito in una guida d’onda, ed è inclusa anche la connessione RCA. Il woofer è in materiale cartaceo. I controlli sono minimali: un potenziometro per il volume e un trimmer per le alte frequenze da -3 a + 3 dB. Non è dato sapere quale sia la classe di amplificazione. Disponibile anche nei colori rosso e bianco. Tutti i modelli hanno il frontale lucido.
In prova
Phonic è l’essenzialità tra i monitor entry level. Il primo ascolto dimostra un equilibrio piuttosto neutrale, con qualche preponderanza sui bassi sotto i 70 Hz che non stona e che permette di lavorare anche a bassi livelli. Il livello massimo di ascolto, inserite nel nostro studio, si è rivelato corretto, intorno agli 82 dB (A). La porta anteriore ha un difetto importante: sotto i 70 Hz quando ci si avvicina ai -15 dBu in ingresso comincia a vibrare con armoniche piuttosto alte che creano confusione anche sulle medie. Per evitare questo problema si arriva a un livello d’ascolto intorno ai 70 dB (A) che per qualcuno potrebbe essere troppo basso. Sono monitor che lavorano bene quando si arriva al massimo della potenza. In queste condizioni si apprezza però un suono non ricco di dettagli, poco emotivo e con un principio di esaltazione intorno ai 7 kHz che elabora meglio le alte frequenze. Interessante notare che, pur non essendo particolarmente analitiche, sono in grado di far riconoscere un MP3 e i suoi difetti. Il suono è un po’ spento e poco dinamico. Non c’è un genere particolare di eccellenza, ma sicuramente la musica classica e le colonne sonore non sono tra i primi posti. Essendoci solo il controllo di alte frequenze, non è possibile attenuare le basse frequenze per guadagnare qualcosa sulle medie che così risultano arretrate. La voce risulta quindi spostata indietro rispetto a cassa e basso. Il campo stereo è corretto ma non esaltato e la tridimensionalità è limitata.
In sintesi
Il progetto delle Acumen 6A ha dei difetti (come la porta bass reflex che va in vibrazione a volumi d’ascolto medio alti) e dei pregi (nella trasduzione delle basse frequenze). Il suono smorzato e poco evocativo li rende appetibili per chi vuol fare il primo acquisto rispetto ai piccoli monitor del computer. Tuttavia ci sono altre alternative più interessanti che relegano questi monitor in fondo alla nostra personale classifica.
Conclusioni
Ogni monitor, tra quelli provati, ha i suoi pregi e i suoi difetti che ne permettono la scelta consapevole secondo i generi musicali che si producono. L’ascolto e la prova in studio rimangono necessarie e meglio sarebbe inserirle nel proprio ambiente di lavoro. Il woofer da 6 o 7 pollici regala quelle basse frequenze che mancano ai cinque pollici, permettendo un miglior controllo su cassa e basso, ma anche su timpani, viole e contrabbassi. Il prezzo da pagare è il trattamento acustico, che per questi modelli è sempre necessario per evitare risonanze impossibili da gestire in fase di mix. Negli studi professionali invece possono diventare monitor nearfield più utili dei precedenti, per l’apporto di basse frequenze quando non è richiesto un subwoofer per colonne sonore o effetti particolari.