Conosciamo Stefano da quando scriveva articoli e lavorava in studio con il compianto Sergio Taglioni, allo studio Lab Recording di Pisa. Aveva un unico obiettivo in mente: lavorare agli Abbey Road. Ce l’ha fatta!
Luca Pilla Raccontaci i tuoi inizi in Italia e la tua formazione.
Stefano Civetta Ho iniziato a suonare da quando avevo cinque anni, affascinato dal pianoforte. Da allora non ho mai smesso di suonare e mi sono appassionato sempre più a registrazione e tecnologia, giocando prima coi registratori a cassetta e un paio di microfoni, e da lì ho continuato a sperimentare e scoprire cose nuove. Dopo il liceo scientifico, affiancato al Conservatorio, mi sono iscritto al corso triennale di Scienze e Tecnologie della Comunicazione Musicale, presso la statale di Milano. Mi sono pagato gli studi suonando e facendo lavori di produzione e missaggio.
Successivamente ho seguito un corso di formazione a Saluzzo, il quale mi ha permesso di ottenere un diploma europeo di tecnico del suono e di registrazione. Questo corso prevedeva un periodo di formazione in studio che ho avuto la fortuna di fare press il meraviglioso StudioLab di Cascina (Pi); qui ho avuto l’onore di lavorare con artisti del calibro di Petra Magoni e Ares Tavolazzi. Purtroppo, il titolare dello studio è venuto a mancare e lo stesso è stato chiuso. Dopo la Toscana sono ritornato a Milano, dove ho suonato per un anno nel musical Priscilla, La Regina Del Deserto, esperienza che mi ha permesso di conoscere persone provenienti da tutto il mondo.
LP Quali sono state le svolte in Italia che ti hanno permesso di pensare in grande?
SC Ho sempre avuto il sogno di lavorare in Inghilterra, magari ad Abbey Road. Lasciare il mio paese non è stato causato dalla situazione in cui, purtroppo, l’Italia versa da diversi anni. Devo ammettere che sarebbe probabilmente successo in ogni caso, tanto era il mio desiderio di vivere e lavorare a Londra.
LP Come è stato il passaggio in Inghilterra nei primi tempi, e quando hai capito che potevi realizzare il tuo sogno?
SC Devo ammettere che sono stato fortunato. Inseguendo il sogno di lavorare ad Abbey Road, sono venuto a conoscenza del Tonmeister Course, presso l’University of Surrey. Questo corso, probabilmente il migliore in Europa per la formazione in ambito audio professionale, offre durante il terzo dei quattro anni un placement year. Grazie ai contatti che il corso ha sviluppato dagli anni ’70, è l’unico corso che riesce a offrire la possibilità di lavorare presso studi quali Abbey Road, AIR, Real World e molte altre realtà al top dell’industria audio in Inghilterra e non solo.
Un altro colpo di fortuna è arrivato quando il musical per cui avevo lavorato in Italia, dopo quattro anni di successo nel West End londinese ha iniziato il tour. La produzione mi ha contattato per assumere il ruolo di Sound Designer per il tour, lavoro che ho avuto la fortuna di svolgere anche in Svezia e Corea del sud. Quindi, ancora una volta (e fortunatamente) sono riuscito a pagarmi gli studi facendo ciò che amo.
LP Entrare agli Abbey Road e lavorarci da assunti non deve essere facile, cosa secondo te ha influito nella tua assunzione?
SC Credo ci siano stati diversi fattori, di certo la tenacia; non perdevo occasione, nella maniera più discreta possibile, di farmi notare e trasmettere la voglia che ho di fare. Durante il Tonmeister Course ho avuto la fortuna di incontrare fonici di livello oserei dire mondiale che lavorano regolarmente ad Abbey Road, e non mi potevo far sfuggire l’occasione di fare una chiacchierata per propormi come assistente o anche solo per offrire una birra o anche più, cosa che pare funzionare molto qui in Inghilterra.
Nel mio piccolo, questo ha creato un passaparola e uno di questi fonici un giorno mi ha invitato ad Abbey Road durante una sua sessione, durante la quale ho incontrato lo studio manager. Da lì sono arrivato a ottenere il placement year proprio negli studi in cui avevo sempre sognato di lavorare. Alla fine dell’anno mi è stato chiesto se volevo fermarmi lì… come potevo rifiutare?
LP Come è cambiata, se è cambiata, la tua visione degli Abbey Road visti e vissuti da dentro?
SC Molta gente purtroppo pensa anche oggi che Abbey Road sia un museo dei Beatles, pieno di polvere, un’attrazione per turisti. I tempi di Abbey Road come studio pop rock sono cambiati, soprattutto per motivi di budget: ora siamo principalmente uno studio in cui almeno l’80% dei lavori sono colonne sonore per film internazionali. Basta dare un’occhiata alla discografia/filmografia degli studi per capire l’importanza che tali colonne sonore occupano nel lavoro quotidiano di essi.
LP Cosa hai imparato e cosa hai corretto nel tuo modo di lavorare stando agli Abbey Road?
SC Ogni giorno è diverso, ogni giorno è una lezione nuova. Di sicuro bisogna essere pronti a lavorare sotto pressione; i clienti che vengono in studio si aspettano un’esperienza di primo livello da ogni punto di vista. Soprattutto in sessioni di orchestra, in cui i tempi sono misurati al secondo (al costosissimo secondo) non ci si può permettere di perdere tempo cercando di risolvere un problema che poteva essere evitato. Per cui si spende il tempo necessario per fare il setup, di modo che ogni evenienza non rappresenti un problema.
Questo spazia dal controllare accuratamente i microfoni al preparare adeguatamente la DAW. Con il tempo e con l’esperienza si imparano a conoscere tutti i piccoli accorgimenti che fanno in modo che la sessione vada nella maniera più fluida possibile. Spesso, inoltre, lavorando con fonici esterni bisogna essere flessibili nell’accomodare il setup che una persone esterna vuole utilizzare senza creare disagi o problemi a nessuno.
LP Quanto contano l’hardware, l’acustica e l’esperienza?
SC Purtroppo (o per fortuna direi) su questo non abbiamo scuse. Abbiamo 832 (sì, ottocentotrentadue) microfoni funzionanti, sempre tenuti al top della forma, abbiamo banchi di ogni tipo, outboard di ogni epoca… se ti dicessi che questo non influisce sulla qualità e sulle caratteristiche del suono Abbey Road mentirei sapendo di mentire. Stesso discorso vale per le sale; credo che siano gli studi più famosi al mondo e basta avere la fortuna di ascoltare un quartetto d’archi in studio 2 per capire di cosa parlo. La prima volta che mi è successo ho subito sentito il timbro dei Beatles e di migliaia di altre registrazioni che hanno fatto e fortunatamente fanno ancora la storia. L’esperienza come in ogni altro settore la si acquisisce con il tempo, osservando il modus operandi di altre persone, confrontandosi, mettendosi in discussione e perché no, sperimentando quando c’è la possibilità.
LP Lavorando all’estero hai dei rimpianti?
SC Gli unici rimpianti che ho sono legati all’aspetto umano. Ovviamente ho lasciato famiglia e affetti per seguire il mio sogno, consapevole di quanto potesse essere complicato, ma come ho detto l’ho fatto consapevole del fatto che volevo fortemente lavorare qui e iniziare una nuova vita all’estero. Sono tuttora in contatto con persone nel mio settore in Italia e devo ammettere che le loro descrizioni della situazione italiana non mi fanno rimpiangere niente. Spero sempre che questo cambi presto per chi non vuole lasciare il proprio paese, io qui devo ammettere che sono contento.
LP I sogni si realizzano quando li desideri intensamente, cosa consiglieresti a una persona che volesse intraprendere una carriera all’estero?
SC Di farlo prima possibile; se quest’idea continua a rimanere in testa tanto vale non aspettare. Prima lo si fa e meglio è. Non ci si deve far spaventare da nulla, si è sempre in tempo a tornare indietro e solo facendo l’esperienza si può capire quanto effettivamente si desidera restare all’estero. Importante è anche chiedere, osare, non avere paura di disturbare. Insistere alle prime porte chiuse, non bisogna mai fermarsi. Ho imparato che di certo non vengono a citofonare sotto casa. Siamo noi che dobbiamo fare il primo passo e bussare a tutte le porte. Anche a quelle che sembrano al di sotto delle nostre aspettative. Non si sa mai cosa effettivamente si possa nascondere dietro ognuna di quelle porte.
LP Quanto ha contato essere musicista nel lavoro di sound engineer?
SC Oserei dire che è impossibile lavorare in studi come Abbey Road senza essere musicista, ovvero senza saper leggere la musica. Soprattutto visto che al giorno d’oggi lavoriamo principalmente con le orchestre. Al cliente/compositore poco importa che microfono usiamo o il decay del riverbero. Il coinvolgimento nel processo creativo della colonna sonora è fondamentale e di certo apprezzato. Ovviamente, questo risulta impossibile se, trovandosi davanti una partitura orchestrale non si ha la minima idea di cosa aspettarsi.
Credo che questo sia un aspetto fondamentale per lavorare in studio anche in quelli che si occupano di produzioni pop/rock. La conoscenza degli strumenti che si va a registrare è fondamentale, per poter dare input all’artista (stando sempre attenti a non prevaricare il proprio ruolo). A fine giornata non importa se sei ad Abbey Road o nello studio sotto casa: conta, come vogliamo tutti), che il cliente col quale abbiamo speso una giornata di duro lavoro torni a casa contento del risultato.