Guitar rig, bias, pod, amplitube… software tanto discussi dai puristi dell’analogico che forse non sanno che i sudetti processori virtuali per chitarra nacquero proprio dalle esigenze degli stessi chitarristi!
Virtuale è la parola da associare a qualsiasi software che riproduca qualcosa su computer, che siano strumenti o ambienti, ma in ogni caso sempre più frequentemente viviamo o condividiamo situazioni in cui qualcosa viene virtualizzato, simulato, o per così dire ricostruito e trasfigurato. La similitudine potrebbe venire dai video game, dove possiamo cimentarci in ambienti fantasy che nella realtà mai potremmo condividere, dove possiamo correre su automobili sportive come se fossimo sul più famoso circuito quando, invece siamo comodamente seduti in poltrona. Così come oramai ci sembra normale suonare una tastiera USB e percepire il suono di un pianoforte a coda o di un violoncello semplicemente utilizzando dei virtual instrument e, sempre più spesso, ci troviamo di fronte a chitarristi che con una workstation sembra stiano suonando con un amplificatore di chissà quale potenza. Ma non sempre tutto è cosi semplice e non sempre questa realtà è vissuta positivamente sia da musicisti che da utenti. Molti ancora si scandalizzano nel sentire una chitarra hi-gain e non vedere un vero amplificatore, i commenti sul fatto che non suoni come con un vero ampli si sprecano; commenti fatti dagli stessi che però non distinguono la qualità degli Action Strings di Native Instruments Kontakt da una vera orchestra e da Cinematic Strings, come mai? Due pesi e due misure?
In realtà credo che la virtualizzazione della chitarra parta da più lontano e cioè da quanto i chitarristi, stanchi di continui problemi di microfonazione, iniziano a registrare il proprio strumento in line, prima utilizzando le uscite direct delle testate (con risultati orrendi, siamo alla fine degli anni ‘70 circa) poi cimentandosi con i primi apparecchi dedicati come il Red Box di Hughes e Kettner a circa metà degli anni ’80. Questo consentiva di collegare direttamente una fonte sonora in un mixer prescindendo da un cabinet, la chitarra quindi finiva direttamente nei monitor con un vantaggio e ovviamente una penalizzazione; non c’era la necessità di un cabinet e dei microfoni, ma si poteva gestire il mix dello strumento direttamente dal mixer non dovendo più fare i conti con volumi esagerati per far lavorare il cabinet al fine di ottenere un suono consono. Certo, timbricamente il risultato era molto differente, soprattutto da un punto di vista percettivo. Ciò che si percepiva dall’amplificatore era decisamente più interessante di quello che arrivava in line; ma quanti hanno invece fatto il confronto reale fra le due fonti? Non è infatti la sfida tra amplificatore e direct il confronto da porre in essere, ma bensì microfoni vs direct.
Se è vero che la percezione di un amplificatore e soprattutto la sua pressione sonora non sia minimamente comparabile a quanto recepito da una uscita direct line, è altrettanto vero che di quella pressione sonora il microfono, con cui andiamo a riprendere il cabinet per una registrazione o per un live, ne percepirà solo una parte. Spesso, e soprattutto in Italia, non c’era inoltre l’abitudine alla multimicrofonazione sui cabinet, quindi niente ripresa del retro del cabinet (aperto o chiuso) oppure lontano dall’amplificatore per riprendere le riflessioni dell’ambiente, e il suono che veniva percepito dal povero Shure SM57 era più simile a un citofono. Risultato: il chitarrista sul palco si sentiva una specie di divinità avendo dietro di sé grandi sarcofagi tuonanti, ma il pubblico di fronte era più interessato ai gorgheggi del cantante dai capelli fluenti, una scena già vista…
La presa di coscienza di questa situazione iniziava a far crescere più di un dubbio e iniziare a sperimentare il Direct Line era più di una curiosità, anche perché sul mercato iniziavano ad arrivare pre-amplificatori valvolari con uscite direct e i primi speaker emulator integrati (da Hughes & Kettner a Mesa Boogie).
Questo breve flashback sul passato chitarristico, più analogico che digitale, credo che sia in realtà il vero punto di partenza per analizzare la natura del fenomeno Virtual Guitar, ciò che ha portato allo sviluppo di questa tecnologia per poter capire quali siano effettivamente i motivi che possono spingere verso una scelta più futuristica che tradizionale, senza per questo individuare una via preferenziale fra le due.
In realtà e in pratica lo scopo, forse paradossalmente involontario del chitarrista, era quello di scrollarsi di dosso l’obbligo e soprattutto il peso dell’amplificatore magari con la possibilità di avere una varietà timbrica maggiore con un minor rapporto ingombro/peso possibile. Non solo, il chitarrista sempre più sound engineer a fronte dell’avanzare dell’home recording, aveva necessità di sentire il proprio strumento dentro il mix e non proveniente da un cabinet dietro le spalle. Queste due esigenze crearono una miscela esplosiva, il propellente per la ricerca di un nuovo modo di vedere la registrazione e l’amplificazione della chitarra, ponendo le basi di quello che più avanti diventerà un nuovo ambiente virtuale.